|
Ho
utilizzato per trattare l'argomento il testo di Aldo
A. Settia - Comuni in guerra. Armi ed eserciti nell'Italia
delle città. Editrice CLUEB - Bologna - 1993.
Nella
Lombardia dell' XI e del XII secolo
Nel
periodo in questione le battaglie campali tra truppe
ordinate secondo precisi schieramenti (quelle di cui
parla la storia che si studia a scuola) erano l'eccezione.
La maggior parte dell'intensissima attività
degli eserciti comunali si esplicava in azioni minori;
era questa la vera realtà della guerra. In
queste situazioni le forme di lotta erano meno convenzionali
e i ruoli di fanti e cavalieri spesso erano poco o
per nulla separati e la cooperazione era diretta,
pur all'interno dei compiti specifici della singola
arma. Inoltre, il frequente contegno poco eroico dei
guerrieri a cavallo, da un lato ridimensiona l'alone
di prestigio che un'enorme produzione letteraria ha
tessuto intorno alla loro figura, dall'altro conferisce
loro maggiore umanità. E rende meno profondo,
anche tecnicamente, il solco che separa il combattente
a cavallo da quello a piedi. Emerge, dall'esame dei
documenti dell'epoca, una cosa interessante che riguarda
i tiratori. Nel 1037, sotto le mura di Milano, assistiamo
allo scontro tra cittadini e truppe regie; nella prima
fase prevale decisamente, da entrambe le parti, l'uso
di armi da tiro, le quali continuano ad avere una
parte importante anche nella seconda fase della battaglia.
Dal testo che ne parla non si riesce a distinguere
l'azione dei fanti da quella dei cavalieri; sembra
che le armi venissero impiegate, nel particolare frangente,
da tutti i combattenti. E' certo che arcieri, frombolieri
e balestrieri, gli specialisti nell'impiego delle
armi che colpivano a distanza, appartenevano agli
stati sociali inferiori; è pure radicata la
convinzione che il cavaliere rifuggisse da queste
armi per ragioni di etica cavalleresca. Ebbene, almeno
per i tempi anteriori alla fine del XII secolo, sembra
non fosse proprio così. Nel corso della prima
Crociata Goffredo di Buglione manovra con micidiale
abilità la balestra; Federico I il Barbarossa,
nel 1158 all'assedio di Milano, compie un giro di
ricognizione e, per controllare se difensori siano
o no installati su un antico monumento "imbraccia
un arco, si fa sotto e, lanciata di lontano una freccia,
si persuade che il nemico è appostato sul sommo".
Nel gennaio 1160, all'assedio di Crema, lo stesso
Imperatore, dalla gigantesca torre mobile, uccide
di sua mano molti degli assediati. Sembra dunque che
tra le abilità sportive e militari richieste
allora da una completa educazione guerriera, non ancora
cavalleresca e cortese, fosse compreso l'uso delle
armi da getto, cioè una delle qualità
proprie di un buon fante.
Arcieri
e balestrieri in Piemonte e Liguria
Nel
1202 un imponente corpo di esercito pavese composto
da cavalieri, fanti, balestrieri ed arcieri, col supporto
di moderni mezzi da lancio e di altre attrezzature
d'assedio, si presenta di sorpresa sotto il castello
di Robbio Lomellina, presidiato dai Vercellesi. Le
truppe pavesi a piedi si distinguevano in fanti generici
e fanti specializzati nel tiro: essi erano innanzitutto
arcieri, ai quali da qualche decennio era venuto ad
aggiungersi un numero ridotto di balestrieri. Nonostante
l'efficacia e la precisione di tiro caratteristiche
di quest'arma, l'alto prezzo e la relativa difficoltà
del maneggio furono certo tra i fattori negativi che
impedirono una sua più rapida ed ampia diffusione;
essa progredisce tuttavia in modo costante dalla metà
del secolo XII in poi. Proprio l'adozione su scala
sempre più vasta della balestra caratterizza
e condiziona tutta la tecnologia militare del secolo
XIII. La necessità di una maggiore protezione
dei combattenti, a piedi ed a cavallo, di fronte alla
potenza del nuovo mezzo, è tra le cause di
un'importante evoluzione dell'armamento difensivo
il quale, da allora in poi, tende progressivamente
ad appesantirsi ed a rinnovarsi, sollecitando a sua
volta l'esigenza di un maggiore addestramento e professionalità
nonché di tattiche più complesse, provocando,
in definitiva, costi sempre più elevati nel
mantenimento degli eserciti. Le ripercussioni che
tale fattore ebbe sullo sviluppo generale della civiltà
europea si possono considerare inferiori soltanto
alle conseguenze provocate, qualche secolo dopo, dall'incremento
nell'uso delle armi da fuoco più perfezionate.
Non
si pensi comunque che, nonostante il suo lento diffondersi,
la balestra abbia sostituito l'arco, come accadde
in Francia. Nella stessa Liguria, che fu all'avanguardia
in Italia ed i Europa nell'uso della balestra, vediamo
menzionati gli uni accanto agli altri arcieri e balestrieri,
non solo per tutto il XII secolo, ma sin oltre la
metà del successivo, come del resto accadeva
anche nel restante territorio dell'Italia settentrionale.
Ben presto vi furono anche tiratori a cavallo i quali
venivano considerati alla pari, e talvolta persino
superiori agli stessi cavalieri, segno evidente dell'importanza
ad essi attribuita. Si è voluto ascrivere al
genio di Federico II (1194-1250) la creazione di una
fanteria di tiratori da contrapporre alla fanteria
pesante comunale, i famosi saraceni di Lucera, in
buona parte montati, con i quali l'imperatore svevo
avrebbe anticipato di oltre sessant'anni la tattica
degli arcieri inglesi. Soltanto per correre ai ripari
di fronte alla novità dei tiratori saraceni,
la seconda Lega lombarda avrebbe creato a sua volta,
non prima del 1248, balestrieri a cavallo affiancati
agli armigeri, non come seguito ma con pari dignità.
Senza nulla togliere alla genialità di Federico
II, i documenti dell'epoca sono sufficienti a dimostrare
che egli non fu né l'inventore dei tiratori
montati né di un loro particolare uso tattico
sul campo di battaglia. Già nel 1191 in patti
intercorsi tra il Comune di Asti e il marchese del
Carretto, i contraenti si promettevano un aiuto reciproco
di cavalieri ed arcieri "cum equis", mentre
il marchese di Saluzzo, nello stesso periodo, si obbligava
a militare con dieci cavalieri e con dieci "archatoribus
de caballo".
Al
contrario di quanto abbiamo visto per i tiratori appiedati,
dal secondo decennio del XIII secolo in poi gli arcieri
a cavallo appaiono già del tutto sostituiti
dai balestrieri. Anche se non si conoscono esempi
concreti dell'impiego sul campo di tali tiratori prima
dei Saraceni schierati da Federico II alla battaglia
di Cortenuova nel 1237, sembra evidente che il loro
compito dovesse essere quello di spostarsi insieme
con la cavalleria, alla sua stessa velocità,
per poter fornire ad essa l'appoggio e la copertura
indispensabili contro l'offesa dei tiratori nemici.
Federico II organizzando i suoi Saraceni non fece
dunque altro che applicare su scala più vasta
procedimenti già ben diffusi. Un confronto
fra tale tattica e quella praticata dagli arcieri
inglesi risulta però improprio poiché
costoro disponevano dell'arco lungo, arma con prestazioni
e caratteristiche d'impiego assai diverse al normale
arco utilizzato nel resto d'Europa. Dal canto loro
i Vercellesi avevano certo conosciuto in modo diretto
i Saraceni di Federico II partecipando al fianco dei
Milanesi alla battaglia di Cortenuova; un decennio
più tardi ebbero però la sorpresa di
ritrovarseli di fronte in casa propria, come attestano,
ad esempio, le distruzioni da essi apportate soggiornando,
prima del 1248, nel castello di Verrua (oggi Savoia).
Uomini
e armi nel Veneto (Marca di Ezzelino)
Federico
II, dopo la rapida conquista di Vicenza nel 1236,
vi aveva distaccato un contingente di "Lombardi,
Pugliesi e Tedeschi" da utilizzare secondo la
volontà di Ezzelino. Ad essi si aggregarono,
qualche mese dopo in Padova, circa 300 Saraceni, piccola
parte dei 7000 che avrebbero in seguito preso parte
alle operazioni in Lombardia ed ai quali molti altri
se ne aggiunsero, partecipando un modo costante alle
operazioni degli eserciti Ezzeliniani. Sfruttando
le loro qualità di abili tiratori essi sono
programmaticamente impiegati a guardia di porte cittadine
e di castelli, sempre suddivisi in piccoli nuclei
di 10 o 12 uomini, muniti di arco e frecce, un armamento
cioè consono alle funzioni loro affidate. Eccoli
nel 1238 presidiare Este, Montagnone, Lozzo e Cerro
e più tardi Montecchio Maggiore, Monterosso
e Concadalbero.
Nel
1204 il vescovo di Vicenza Pistore se ne stava, all'assedio
di Torrebelvicino, "disarmato a cavallo nell'acqua
che scorre presso il castello", quando venne
inopinatamente colpito a morte da una freccia lanciata
dai difensori: egli credeva di trovarsi al sicuro
poiché aveva evidentemente sottovalutato la
gittata delle armi di cui gli assediati disponevano.
La fine dello sfortunato vescovo guerriero assume
un significato esemplare se visto nel quadro dei mutamenti
delle tecniche belliche in atto: per quanto il cavaliere
continui ad essere il protagonista, questi è
via via più condizionato dalla crescente diffusione
della balestra, che già da decenni influenza
le azioni di guerra tanto in campo aperto quanto nell'attacco
e nella difesa dei centri fortificati. I cambiamenti
non sono né improvvisi né spettacolari
e quindi sono di difficile percezione per lo storico.
Proprio a partire dal terzo decennio del duecento
il suo impiego diventa prevalente su quello dell'arco,
il quale continua peraltro a rimanere in uso. Ovunque
nell'Italia centro settentrionale la definitiva diffusione
della balestra appare influenzata dalle città
marinare che l'avevano per prime sperimentata nel
combattimento navale; nella Marca di Ezzelino tale
preminenza tocca naturalmente ai tiratori di Venezia
impiegati in gran numero nel 1256; in quell'anno la
presa di Padova fu di fatto dovuta alla superiorità
di costoro sui tiratori che operavano dalla parte
avversa. Martin da Canal, pur ammettendo che "quelli
della città si difendevano molto bene",
sottolinea l'azione svolta dagli "arcoballisti
veneziani", i quali "tiravano molto spesso
le quadrella, e così fitte che quelli di dentro
non osavano affacciarsi alle mura" per evitare
di essere sterminati.
E
quanto fosse importante la copertura fornita dai balestrieri
si rileva dal fatto che gli attaccanti sin dal primo
giorno erano riusciti a scalare le mura ma avevano
poi dovuto retrocedere perché appunto "erano
venute a mancare le frecce ai tiratori" che appoggiavano
l'azione.
Dagli
Statuti di Verona conosciamo le caratteristiche del
munizionamento. La dotazione in generale è
di 25 "pilotti" contenuti in apposito turcasso
o faretra; a Verona si giunge sino a cento per ogni
balestra ed a 50 per ogni arco. Dal momento che la
velocità di tiro, e quindi il fabbisogno di
munizioni, era sicuramente maggiore per l'arco, si
dovrà intendere che l'uso dell'arco era assai
più limitato.
Lo
stesso Ezzelino conobbe la pericolosità di
queste micidiali armi da tiro. Ai primi di settembre
del 1259, fallita la spedizioni in Lombardia, dovette
aprirsi la ritirata forzando l'Adda a Cassano, e qui
"una freccia scagliata dalla fortificazione del
ponte" gli trafisse il piede sinistro. Non vi
è dubbio che l'episodio può essere assunto
come emblematico dei pesanti condizionamenti cui il
cavaliere doveva sottostare di fronte alla nuova efficienza
di questi tiratori.
Venezia
prima del '300
L'uso
della balestra si è sviluppato a Venezia, probabilmente,
almeno dal secolo XII. Verso la fine del 1200 nessuna
azione condotta a piedi o a cavallo poteva ormai fare
a meno dell'appoggio di questi tiratori. Nel 1289
ogni cinquanta cavalieri almeno sei dovevano essere
equipaggiati con balestre costruite, si precisa, da
artigiani locali. Già nel 1223 il comune concedeva
balestre a mutuo ai suoi dipendenti destinati ad essere
imbarcati o ad espletare servizi di guardia a terra.
Il fatto che le balestre fossero concesse a mutuo
indica che nei primi decenni del '200 l'arma era ancora
rara e costosa tanto da non poter pretendere che chi
la utilizzava potesse possederla in proprio. Successivamente
si venne diffondendo, probabilmente in concomitanza
con un abbassamento del suo costo; nel 1255 è
obbligatoria come dotazione individuale del personale
di un certo rango a bordo delle navi e diventa d'obbligo
per gli scudieri inviati a Creta. Nel 1297 Venezia
acquistò balestre in Catalogna ed assoldò
otto istruttori catalani, probabilmente per potenziare
il corpo dei tiratori con lo scopo di metterlo alla
pari con quello genovese dopo la sconfitta di Curzola.
Un episodio del 1277, un incidente accaduto al giovane
principe Morea Filippo, il quale tentando di tendere
una balestra "tanto si sforzò che creppò
e finalmente morse di questo sinistro", mostra
due cose; che maneggiare queste armi non era affare
da poco e conferma indirettamente l'importanza operativa,
e quindi il prestigio che la balestra aveva assunto,
dal momento che anche i membri dell'aristocrazia non
disdegnavano di cimentarsi con essa. Nel 1295 si proibiva
ogni gioco salvo "ad ballistandum in diebus festivis",
e si ha notizia certa che nel 1299 si costituiscono
dei "bersagli" che nel 1304 vengono ricollocati
"nei luoghi dove si trovavano, salvo che a S.
Marco, in modo che gli uomini si procurino balestre
e si addestrino al tiro". Negli anni successivi
vennero emanate disposizioni precise che imponevano
l'organizzazione, tramite i capi contrada, dell'addestramento
per tutti gli uomini dai 16 ai 35 anni "con esercizio
continuo in modo che si ritrovino balestrieri e tiratori
perfetti". Chi si presentava senza una buona
balestra agli esercizi di tiro, da mezzogiorno alle
quattro, veniva multato; costituivano assenza giustificata
(sotto giuramento) la malattia, le nozze, la visita
ad un defunto.
Oriente
ed Occidente
Vi
è in questi secoli anni un flusso continuo,
in entrambe i sensi, di esperienze ed innovazioni
tecnologiche. Goffredo di Buglione non aveva esitato,
sotto le mura di Nicea, a fare uso della balestra.
Le rispettive tecniche di assedio vengono messe in
atto; le tecniche belliche si confrontano (per es.
l'impiego della balestra e delle materie incendiarie).
Così come la novità dell'impiego della
balestra nel corso dell'assedio di Crema del 1159
è ben mostrata dall'insufficienza delle corazze
di cui erano dotati gli essediati, anche le frecce
lanciate dagli archi compositi dei Turchi nella prima
crociata perforavano le corazze dei soldati di Cristo.
Nel 1239 Federico II fa acquistare direttamente in
Palestina, balestre grandi (da posizione, azionate
da un tornio) e piccole; vengono depositate nel palazzo
di Messina prima di essere segretamente assegnate
ai castelli disseminati nel Regno. Tra il secondo
ed il terzo decennnio del XIII secolo si percepisce
con sicurezza un progresso tecnico della balestra
a mano. Il suo impiego tattico si generalizza, soppiantando
quasi per intero l'uso dell'arco sino allora prevalente,
sia nella difesa che nell'attacco di fortificazioni
come pure negli scontri in campo aperto. Sono di tale
periodo le più antiche menzioni di balestre
con arco di corno e a leva provenienti dal vicino
Oriente. Il perfezionamento di quest'arma sembra proprio
sia passato attraverso una secolare oscillazione tra
Oriente ed Occidente, i quali entrambe alternativamente
vi contribuirono.
di
Marco Dubini (dicembre 1997) |