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GLI
ARCIERI A CAVALLO,
CAVALLERIA LEGGERA DEGLI ANTICHI
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La
storia del cavallo al servizio dell’uomo ha
molti secoli. Fin dall’alba della storia il
cavallo è servito a scopi guerrieri. Una vasta
letteratura tratta il soggetto del suo ruolo militare.
Sarà sufficiente citare solamente le opere
più significative, sia le più vecchie:
G.T. Denison1, William Rdgeway2,
sia quelle più recenti di: Lefebvre des Noettes3,
G. Hermes4, A.J. Lamb5,
H.A.Potratz6, J.Wiesner7,
Graham Clark8, V.G. Childe9,
etc.
Ricerche basate su
una grande quantità di documenti provano che
la modalità più antica di utilizzo del
cavallo a scopi militari fu l’attacco
ai carri da combattimento. L’equitazione era
evidentemente conosciuta da molto prima, ma così
come ritiene H.A. Portratz10, fu
necessario attendere l’invenzione della staffa,
condizione per una posizione più stabile, per
trarre vantaggio per il cavaliere nell’azione
di combattimento. L’utilizzo delle staffe non
entrò nella pratica se non dopo l’era
cristiana. La cavalleria, in quanto impiegata come
formazione compatta e come unità tattica appare
nelle battaglie nel corso del primo millennio a. C.;
gli Assiri l’avevano introdotto nell’esercito
regolare ma questa non poteva giocare che un ruolo
secondario e serviva soprattutto ad inseguire il nemico
vinto o per le operazioni ai fianchi; non poteva essere
utilizzata come truppa d’urto decisiva per il
combattimento.
Le rappresentazioni
equestri conosciute più antiche datano al terzo
millennio a.C., ma già nel 2° millennio
il numero di queste immagini aumenta considerevolmente.11
L’armamento
del cavaliere consisteva allora in una lancia e, quasi
sempre, di uno scudo tondo. In quel periodo l’arte
di tirare con l’arco da cavallo aveva raggiunto
una perfezione tale da essere ancora ignorata dai
popoli civilizzati dell’antico Oriente; alcune
rappresentazioni della glittica babilonese del 2°
millennio a.C. ce ne danno la prova.
Altre figure che possiamo
considerare appartenenti alle prime rappresentazioni
d’arcieri a cavallo, ci mostrano dei centauri
che tirano mentre sono al galoppo. Una di queste è
scolpita su pietre di delimitazione dei terreni di
Babilonia, provenienti dal periodo di Mélishipak
II (1216-1202 a.C.), re della dinastia dei Cassiti.12
Qui vediamo un centauro alato la cui metà animale
ricorda sia il cavallo che forse il cane o qualche
animale al galoppo. Ha sul capo un berretto a punta
e tira con l’arco in avanti (fig. 1) Un’immagine
simile di centauro, metà uomo che tira con
l’arco in avanti e metà toro, cervo o
altro animale alato, databile al XIV-XIII secolo a.C.
è pubblicata da E. Porada.13
Un fenomeno ancora più fantastico è
un centauro scolpito sulla superficie di un cilindro
assiro dell’inizio del primo millennio a.C.4;
è una combinazione mezzo uomo, mezzo leone
alato o forse un uccello.
Queste figure di centauri
dimostrano chiaramente che già allora (metà
del secondo millennio a.C.) alcuni popoli nomadi tiravano
con l’arco su un cavallo al galoppo e che la
cosa era nota a Babilonia. D’altra parte il
fatto che questi non siano che dei fenomeni isolati
e che il contatto dei babilonesi con questi arcieri
equestri non abbia esercitato nessuna influenza sull’arte
militare della Mesopotamia del secondo millennio a.C.
sembra provare che questi rapporti dovettero essere
insignificanti. Questi cavalieri leggendari non hanno
lasciato che il ricordo di uomini stranieri che facevano
tutt’uno col loro cavallo fin dalla loro infanzia
e che tiravano con l’arco. Del resto, col tempo,
questi ricordi si affacciano sempre di più
ed i popoli immemori assegnavano ai centauri forme
sempre più fantastiche; la metà animale
di queste figure diveniva sempre meno somigliante
ad un cavallo.
A questo proposito
occorre notare che i centauri, come tema favorito
dell’arte greca, sono un fenomeno molto più
tardo. Nella loro forma classica, messo uomo e mezzo
cavallo, non appaiono che verso la fine del VI°
secolo a.C., dunque nel periodo nel quali i greci
avevano già incontrato i cavalieri nomadi sciti
nei territori delle colonie greche del Mar Nero. Secondo
i più antichi racconti greci, i centauri non
avevano nulla a che fare né con il cavallo
né con l’arco. Erano semplicemente dei
demoni silvestri localizzati soprattutto in Tessaglia.5
Utilizzato sin dall’inizio
sui carri da combattimento, l’arco non apparve,
come arma del cavaliere, prima della prima metà
del primo millennio a.C.; viene introdotto nell’esercito
assiro da Assur-natsir-apli (885-859 a.C.). A partire
da allora, immagini reali d’arcieri a cavallo,
e non solamente come quelle di un tempo ritraenti
centauri fantastici, si trovano sempre più
frequentemente nell’arte antica.
L’introduzione
degli arcieri a cavallo nell’esercito assiro
non era tuttavia una manifestazione della loro specifica
scienza militare. F. Hancar6 e J.
Wiesner7 giustamente sottolineano
che l’introduzione della cavalleria ai lati
dei carri da combattimento trainati da cavalli utilizzati
come arma principale, si spiega con la necessità
di adattarsi alle nuove modalità tattiche introdotte
dai popoli dei cavalieri nomadi provenienti dal Nord.
Evidentemente il carro da combattimento non era più
sufficiente, soprattutto nelle zone nelle quali l’Assiria
doveva lottare contro i nuovi venuti.
Una volta introdotta
nell’esercito siriano la cavalleria entra definitivamente
nella composizione di tutte le truppe regolari fino
a giorni nostri. Il suo sviluppo si manifesterà
in due modalità principali. A partire dal periodo
assiro noi vediamo evolversi sui campi di battaglia
la cavalleria pesante corazzata che combatteva soprattutto
con l’aiuto della lancia, del giavellotto, della
spada e dell’ascia. S.P. Tolstow18
ne fornisce una breve schizzo nella sua storia dell’Oriente
antico e dell’Asia occidentale. Tutte gli Stati
dell’antichità che hanno successivamente
tentato di dominare l’Asia occidentale, a cominciare
dalla Persia degli Achemenidi, possedevano una cavalleria
corazzata. Ma è Alessandro il Grande che ne
aveva fatto il primo impiego tattico nel corse delle
sue guerre contro la Persia. Più tardi questa
figurerà nelle formazioni militari soprattutto
nella Battriana e nella Chorezme.
Il secondo tipo di
cavalleria, che d’altra parte coesisteva con
la cavalleria corazzata, era la cavalleria leggera
che combatteva soprattutto con l’aiuto dell’arco.
Questo tipo di formazione, introdotta nell’esercito
dagli Assiri, era caratteristica dei popoli nomadi.
Fece parte più tardi di tutti gli eserciti
regolari di tutte la nazioni orientali, come per esempio
nell’esercito degli Achemenidi (VI-IV secolo
a.C.); formava allora un distaccamento irregolare
i cui contingenti venivano forniti dalle tribù
conquistate della zona Nord dell’Asia occidentale19.
L’organizzazione
degli arcieri a cavallo nell’esercito regolare
assiro non fu affatto un lavoro facile. Per i nomadi,
che sin dalla loro infanzia si esercitavano al tiro
con l’arco ed a montare a cavallo, il fatto
di tirare con l’arco montando la loro cavalcatura
era cosa di tutti i giorni. Per gli arcieri fanti
dell’Assiria occorreva prima di tutto imparare
a cavalcare. La ricca glittica assira ci fornisce
un eccellente quadro delle difficoltà incontrate
e ci dimostra che l’adattamento degli arcieri
a piedi al nuovo modo di combattere avvenne lentamente.
I bassorilievi del palazzo nord-occidentale di Nimroud,
costruito da Assur-natsir-apli II20,
rappresentano i primi distaccamenti di arcieri equestri
assiri; la loro abilità nell’equitazione,
come sottolinea Lefebvre del Noettes21,
era “allo stadio dell’infanzia”.
Vediamo qui dei cavalieri “con un assetto incerto,
le gambe contratte ed aggrappate degli inesperti”;
l’arciera non sa ancora tirare e guidare il
cavallo nello stesso tempo, deve ricorrere all’aiuto
di in palafreniere (fig. 2) che conduce il cavallo
nel corso del combattimento e nello stesso tempo lo
protegge con uno scudo. G.T. Denison22,
analizzando queste rappresentazioni, ipotizza che
si siano semplicemente presi degli arcieri da un carro
da combattimento facendoli montare sui cavalli staccati
da questo. L’ipotesi sembra accettabile, poiché
l’arciere è vestito con una tunica mentre
il cavallo porta all’incollatura una specie
di collana che ricorda i finimenti dei cavalli dei
carri da combattimento. Un altro argomento: l’arco
grande, che è dello stesso tipo di quello che
equipaggiava gli arcieri dei carri da combattimento.
Aggiungiamo che anche la ripartizione delle funzioni
tra l’arciere ed il palafreniere è la
stessa di quella che avveniva nel corso del combattimento
con i carri.
Nel corso del regno
del signore degli Assiri successivo, Salmanasar III
(858-828 a.C.), gli arcieri hanno ancora un palafreniere,
ma costui è già armato con un giavellotto23.
I bassorilievi successivi dimostrano un grande progresso
degli arcieri nell’equitazione: ai tempi di
Assurbanipal (669-626 a.C.) il re stesso caccia a
cavallo, tirando con l’arco al galoppo e conduce
egli stesso il cavallo24.
Come già abbiamo
detto, l’introduzione degli arcieri a cavallo
nell’esercito regolare assiro venne originato
dal contatto con un nemico che già possedeva
formazioni di questo genere. Troviamo testimonianza
i questa affermazione su un bassorilievo di Nimroud
(fig.3) proveniente dallo stesso palazzo di
Assurbanipal II; mostra due cavalieri nemici che fuggono
al galoppo. Hanno il capo ricoperto con un berretto
a punta, probabilmente di feltro, il loro costume
pantaloni larghi, e calzature di cuoio morbido
ricorda quello che portavano gli Sciti del
celebre vaso ritrovato nella tomba (kurgan)
di Koul-Oba in Crimea, e risalente al IV° secolo
a.C.25 E’ d’altronde
possibile che questi due soldati calzino gli stivali,
come suppone Layard; in ogni caso, non hanno i piedi
nudi come i cavalieri assiri e non montano il cavallo
al pelo ma lo hanno ricoperto con una schabraque.
Hanno ciascuno una
spada attaccata al fianco ed tengono in pugno un arco
corto, di un tipo diverso da quello degli Assiri.
Uno dei cavalieri si gira e tira verso gli inseguitori,
l’altro, tenendo l’arco con una mano,
alza l’altro braccio in segno di resa.
Ciò che prova
che la pressione dei popoli del Nord ha costretto
gli Assiri ad impiegare nell’esercito gli arcieri
a cavallo è pure la direzione delle spedizioni
assire che, nel periodo nel quale questo esercito
venne costituito, si dirigono nella maggior parte
dei casi verso Nord26. Un’altra
prova ci viene fornita dalle scene riprodotte sulle
porte di bronzo a Balavat27, concernenti
le spedizioni dello stesso re Salmasar III. Gli arcieri
a cavallo vi figurano solamente nella spedizione nella
Siria del nord, a Hamath, così come in quella
ad Ourartou, Stati limitrofi dell’Assiria del
Nord.
Abbiamo una sola rappresentazione
di un arciere a cavallo di quest’epoca: proviene
dalle zone poste a nord dell’Assiria. E’
un minuscolo cavaliere nudo con una faretra a tracolla.
Questa statuetta è l’estremità
di una spilla di bronzo trovata in una delle tombe
del cimitero di Koban nel Caucaso28.
Questa tomba, come sostiene F. Hancar, doveva essere
quella di un ricco guerriero ed il fatto che non si
sia trovato nessun oggetto in ferro sembra indicare
una sepoltura molto antica.
Il tiro con l’arco
a cavallo non si è diffuso nei paesi europei,
né allora, né più tardi. Questo
genere di combattimento esigeva una perfetta conoscenza
dell’equitazione, una grande agilità
ed allo stesso tempo abilità ed esperienza
nel tiro con l’arco in movimento. Solamente
i nomadi, addestrati fin dall’infanzia a questi
esercizi ed alla lotta potevano possedere queste abilità
a questo livello. Questa è la ragione per la
quale, al di fuori degli Sciti, in Europa solo i Traci
potevano fornire dei buoni arcieri a cavallo. Questi
specialisti abitavano principalmente la Bulgaria e
la Romania attuali. L’arco venne anche impiegato
in Grecia dalla cavalleria della Beozia29.
Anche Atene, per un breve periodo di tempo, all’inizio
della guerra del Peloponneso (IV secolo a.C.) mantiene
un distaccamento di arcieri a cavallo, ma erano mercenari
o meglio degli schiavi di stato, sciti per la maggior
parte, che svolgevano un’attività di
polizia nel paese. Nelle formazioni regolari la cavalleria
greca aveva come armi offensive la spada, la lancia
ed il giavellotto30.
Più lontano,
in occidente, la cavalleria non aveva mai adottato
l’arco. Il fatto che l’arco non venisse
impiegato dalla cavalleria dell’Europa centrale
ed occidentale è documentato da numerose immagini
di cavalieri della civiltà di Hallstatt, così
come dai disegni dei cavalieri ritrovati sulle rocce
scandinave, o sui vasi funerari delle tombe dell’Europa
centrale. Vi troviamo dei cavalieri armati unicamente
di lance, di spade o di asce31.
Osserviamo lo stesso fenomeno nei periodi successivi,
nel corso delle migrazioni dei popoli (VI-VII secolo
a.C.)32, come pure nel medioevo
in occidente nel quale l’arco come arma della
cavalleria non fu impiegato che in via del tutto eccezionale.
La sconfitta degli
Sciti nelle steppe del Mar Nero (nel II° secolo
a.C.) che venne loro inflitta dai loro consanguinei,
i Sarmati, avviò il declino della cavalleria
leggera armata d’arco in questa parte dell’Europa.
La cavalleria sarmata ricoperta di cotta di maglia
combatteva col giavellotto, con la lancia e l’ascia.
A giudicare dalle immagini equestri dello Stato del
Bosforo, la cui zona centrale era situata in Crimea,
risalenti al I° secolo a.C.33,
la lancia, l’ascia ed il gladio rimasero a lungo
le armi principali nell’Europa orientale così
come nell’Europa centrale ed occidentale. In
compenso l’arco, come arma della cavalleria
leggera, è sempre stato utilizzato in Asia,
soprattutto tra i cavalieri nomadi delle steppe e
non è stato rimpiazzato dalle armi da fuoco
se non nel XIX° secolo.
Il modo di combattere
della cavalleria leggera dei nomadi delle steppe era
molto diverso da quello degli eserciti regolari. Un
tratto caratteristico di questo modo era quello di
attaccare il nemico in massa, al grande galoppo, e
di ricoprirlo con un nugolo di frecce. Se l’attività
offensiva lasciava il posto a quella difensiva, la
cavalleria fuggiva al galoppo scagliando frecce all’indietro
contro gli inseguitori. Questo modo di combattere,
utilizzato soprattutto dagli Sciti (VII°-II°
secolo a.C.) venne in seguito adottato dai popoli
nomadi, compresi i Tartari. Gli Sciti, così
come altri nomadi più tardi, evitavano lo scontro
decisivo del corpo a corpo e si sforzavano soprattutto
di disturbare, stancare e demoralizzare il nemico,
asfissiandolo con attacchi continui seguiti da ritirate.
I grandi successi
degli Sciti nei loro combattimenti contro gli eserciti
regolari ben equipaggiati dell’Oriente antico
nel VII° secolo e poi in Europa nel VI e V secolo
a.C. sono dovuti, con tutta probabilità, alla
loro consuetudine nell’utilizzo di questa tattica
che era completamente diversa da quella con la quale
si confrontavano abitualmente gli eserciti regolari
d’Oriente ed i guerrieri europei. Questa tattica
prendeva di sorpresa un nemico che non aveva modo
alcune per rispondervi: questa tattica era strettamente
legata al modo di vivere degli arcieri a cavallo delle
steppe sicché difficilmente poteva essere adottata
dalle altre nazioni. A giudicare dai successi che
gli Sciti conseguirono subito al primo contatto, si
può dire che fosse efficace solamente nei confronti
di un nemico sconcertato e sorpreso.
Le stesse osservazioni
si ripeterono più tardi, quando apparvero nella
storia altri popoli venuti dalle steppe, compresi
i Tartari del medioevo ed i moderni Cosacchi.
Il modo di combattere
e la tattica degli Sciti furono presto l’oggetto
di un interesse appassionato: Erodoto34
e Senofonte35 le descrissero. La
fama degli Sciti come arcieri fu così generale
nei secoli precedenti la nascita di Cristo che presso
i Greci lo stesso nome “scita” era sinonimo
d’arciere36. Ai tempi dei
Romani, quando lo stato del Ponto Eusino degli Sciti
non esisteva più, questa fama divenne retaggio
dei Parti dell’Asia occidentale; i Romani temevano
in modo particolare il loro tiro al galoppo con le
spalle girate e rivolti verso l’inseguitore37.
E’ evidente
che l’arte di padroneggiare il cavallo e di
tirare con l’arco al galoppo doveva molto impressionare
coloro che per la prima volta ne erano testimoni.
Questo è il motivo per cui dopo il periodo
romano l’espressione “tiro parto”
divenne in uso; bisognerebbe piuttosto dire “tiro
scita” poiché sono stati gli Sciti
ad utilizzare questo modo di combattere, per primo
ed addirittura molti secoli prima dei Parti38.
L’impressione
prodotta sui contemporanei dal “tiro parto”
si riflette nell’arte plastica di quel periodo
nei paesi esposti all’attacco dei nomadi. Qui
il motivo dell’arciere che tira al galoppo si
ripete parecchie volte. M. Rostovtzeff39
ha dedicato uno studio a questa questione; ha collezionato
e descritto numerose rappresentazioni plastiche nelle
quali questo motivo appariva in scene di battaglia
e di caccia.
Come prova il bassorilievo
siriano della prima metà del II° secolo
a.C. nel palazzo di Assur-natsir-apli II (fig.3),
bassorilievo che Rostovtzeff, non ha del resto citato,
l’arte di tirare a cavallo era da tempo praticata
dai cavalieri delle steppe. Ma questo bassorilievo,
che è la rappresentazione più antica
del “tiro parto” indica tuttavia
un fenomeno isolato. Stabilisce tuttavia che all’inizio
del IX° secolo a.C. alcuni popoli delle steppe
dovettero confluire dal Nord nell’Asia occidentale
ed entrarono in contatto con l’Assiria. E’
allo stesso modo possibile che questi fossero gli
antenati degli Sciti quali, dapprima respinti, hanno
devastato 200 anni più tardi diversi paesi
dell’Asia occidentale per andare a finire alle
frontiere dell’Egitto40.
E’ da questo
periodo dell’invasione degli Sciti nell’Asia
occidentale(VII° secolo a.C.) che provengono le
rappresentazioni del “tiro parto”
di cui parla Rostovtzeff41.Questo
motivo diviene di nuovo popolare nell’arte ionica
del VI° secolo a.C. quando le truppe scite avanzano
fino ai dardanelli42. E’ durato
fino alla seconda metà del V° secolo a.C..
Ma, sulle successive immagini, mano a mano che l’impressione
si affievolisce, le immagini degli Sciti che tirano
al galoppo divengono più convenzionali e finiscono
con lo scomparire completamente43.
Questo motivo appare
anche un po’, nello stesso periodo, nell’arte
persiana o greco-persiana dei tempi degli Achemenidi.
Qui si rappresentano Sciti occidentali o Saques che
i Persiani spesso dovevano combattere. A questo gruppo
appartiene la figura del Saque che tira al galoppo,
scolpita su un cilindro persiano del V-VI° secolo
a.C. (fig. 4) che Rostovtzeff ha omesso nella sua
rassegna delle rappresentazioni del “tiro
parto”44.
Anche in Italia si
incontrano interessanti raffigurazioni del “tiro
parto”. Alcuni cavalieri in posizione di
tiro costituiscono la decorazione di celebri vasi
pontini. Qui si trovano anche delle immagini di arcieri
a cavallo nella decorazione della bordatura di urne
di bronzo della Campania. M. Rostovtzeff le ha descritte45,
ma ha tuttavia dimenticato nella sua descrizione le
quattro immagini che ornano un’altra urna di
bronzo oggi esposta al British Museum di Londra46;
assomigliano alle immagini di un vaso dello stesso
museo di cui egli fornisce la descrizione. Queste
immagini di metallo, una delle quali è riprodotta
nella figura 5, rappresentano dei cavalieri al galoppo,
dei quali tre tirano all’indietro ed il quarto
in avanti; sono delle stesse dimensioni o un
po’ più grandi di quelle del primo
vaso descritto da Rostovtzeff, cioè 11 cm.
In altezza e 15 in lunghezza. Superano di molto le
immagini del primo vaso per quanto riguarda i dettagli
del costume e l’esattezza della riproduzione.
Le citate immagini
di arcieri che tirano al galoppo non rappresentano,
evidentemente, cavalieri italiani ma cavalieri sciti;
costituiscono un documento storico di grande interesse.
M. Rostovzeff descrivendole formula l’ipotesi
che queste possano essere state create da artisti
etruschi i quali ripetevano un motivo preso in prestito
dagli artisti ionici dell’Asia Minore, i quali
a loro volta si erano appropriati del motivo favoriti
dai loro contatti con gli Sciti nelle colonie ioniche
del Mar Nero. Egli sottolinea che le immagini degli
Sciti sono molto realistiche e dettagliate nella riproduzione
del costume, come se l’artista avesse egli stesso
visto i suoi modelli.
E’ pertanto
difficile ammettere che queste immagini di Sciti,
così realistiche e fedelmente riprodotte possano
essere un motivo artistico proveniente dall’Asia
Minore e dal Ponto Eusino non direttamente ma tramite
i greci ionici. Un realismo molto spinto nella riproduzione
dei dettagli di second’ordine è sorprendente.
Sulle immagini del vaso alle quali appartiene la figura
5 si distingue il fine lavoro della cotta di maglia
dei cavalieri, come pure i loro capelli lunghi che
scivolano sul collo al di sotto del cappello a punta.
Questa precisione
indica che l’artista che ha eseguito l’opera
ha visto i suoi modelli con i propri occhi, ma, per
vedere gli Sciti non aveva bisogno di andare fino
al Ponto, li poteva incontrare al centro dell’Europa
stessa.
Le immagini in questione
datano, secondo Rostovtzeff alla fine del VI°
secolo a.C.47. Fu proprio il periodo
della grande invasione dell’Europa centrale
da parte degli Sciti di cui ho già parlato
parecchie volte altrove48. Questa
migrazione armata, avvenuta intorno al 5oo a.C. ebbe
come vittima principale la civiltà Lusaziana.
Nella direzione occidentale, come ho già dimostrato,
le truppe scite giunsero fino in Francia, mentre a
sud si sono trovate loro tracce ai confini con l’Italia.
Questi avvenimenti ebbero la stessa importanza delle
invasioni tartare del medioevo. La comparsa di questi
assalitori selvaggi a cavallo, che combattevano in
modo insolito, doveva forzatamente spargere terrore
ed infiammare l’immaginazione di contemporanei;
questi conquistatori barbari servirono da modello
agli artisti etruschi le cui opere sono oggi documento
storico d grande valore. Al di fuori della vestigia
archeologiche lasciate dagli Sciti nei paesi attraversati
dalle loro bande, queste opere artistiche affermano
il carattere e le dimensioni della sconfitta subita
in queste regioni europee.
Un’altra serie
di rappresentazioni di “tiro parto”
è costituita dalle immagini di cavalieri parti
della Siria del Nord. Come fa notare Rostovtzeff49,
è probabilmente un’illustrazione dei
successi dei Parti nelle loro battaglie con i Romani.
Ma, benché i Parti fossero noti dai popoli
italiani come arcieri e che il loro modo di tirare
al galoppo al di sotto della spalla abbai causato
delle perdite pesanti alle truppe romane, il merito
della loro vittoria schiacciante sulle legioni di
Crasso nel 53 a.C., deve essere attribuito alla loro
cavalleria pesante corazzata. Come dimostra S.P. Tolstov50,
i Parti applicarono in questa occasione una tattica
per nulla nuova: la cavalleria corazzata attacca,
in formazioni compatte, le legioni, ricoprendole con
un’enorme quantità dei frecce. Il motivo
del “tiro parto” si è fortemente
diffuso nell’arte persiana sassanide (II°-VII°
secolo a. C.)51: è stata
la conseguenza del contatto costante di questo popolo
con i nomadi equestri delle steppe del Turkestan.
La Persia possedette, del resto, fino al XIX°
secolo una sua cavalleria leggera armata con l’arco52.
Dall’altra parte
il confronto frequente tra la civiltà cinese
ed i cavalieri delle steppe dell’Asia orientale
ebbero come effetto la comparsa frequente del motivo
del “tiro parto” nell’arte
cinese della dinastia Han (dal 220 al 263 a.C.)53
ed in quella dei periodi successivi. Questo motivo
fece lo stesso cammino fino al Giappone dove lo incontriamo
su un vaso d’argento databile all’anno
776 a.C.54.
Le figure di arcieri
kirghisi che tirano all’indietro al galoppo
alla selvaggina sono piene di realismo e di espressione
(fig. 6)55. Costituiscono la decorazione
della parte anteriore delle selle trovate nel kurhan
(tomba) kirghiso di Kopenska Tchaatas sulla sponda
dello Iènissei, databili al VI-VII secolo a.C.
L’antico modo
di combattere scita: l’attacco, la nuvola di
frecce sui ranghi nemici e, in caso di ritirata provocata
da una resistenza inattesa, la fuga con un tiro intenso
contro gli inseguitori, apparve di nuovo in Europa
nel medioevo portato dalle steppe asiatiche dove si
era conservato fino a quel periodo56.
Arrivò con la cavalleria leggera mongola nel
periodo delle invasioni tartare del XII° secolo
e di nuovo, come i guerrieri dell’antichità,
i cavalieri polacchi ed ungheresi tutti ricoperti
di ferro furono presi alla sprovvista.
Quando prevalsero
negli eserciti le armi da fuoco, la pistola rimpiazzò
l’arco. L’arte di tirare con l’arco
in pieno galoppo, e soprattutto di tirare all’indietro,
scomparve. Per condurre il cavallo e nello stesso
tempo sparare con la pistola non occorreva altrettanta
abilità ed addestramento. Il tiro all’indietro
era perciò diffuso tra i Cosacchi del XIX°
secolo. Venne anche applicato da entrambe le parti
durante la guerra polacca-bolscevica del 1920; questa
guerra fu, sembra, l’ultima nella quale la lotta,
su un vasto settore del fronte, venne condotta esclusivamente
con eserciti a cavallo.
SUPPLEMENTO
Dopo aver terminato
questo articolo ho avuto la possibilità di
prendere conoscenza dell’opera di Z: Kadar57
sulle rappresentazioni medioevali dei centauri. Questo
autore fornisce la descrizione, illustrata da numerose
incisioni, di tutta una serie di rappresentazioni
di questi centauri provenienti per la maggio parte
dal XII° secolo e da diverse parti d’Europa.
Ciò che è più importante secondo
noi è il fatto che una grande parte dei centauri
in questione è rappresentata al galoppo mentre
tirano con l’arco all’indietro.
Z. Kadar esprime il
parere che qui non abbiamo a che fare con un motivo
preso in prestito o ereditato dall’arte antica.
Egli sottolinea che la comparsa nell’arte medioevale
dei centauri che tirano con l’arco fu il risultato
della viva impressione prodotta sui contemporanei
dalla tattica dei cavalieri nomadi che avevano, in
quei tempi sconvolto, in tutti i sensi, l’Europa.
“In questo caso si tratta della rappresentazione
di una tattica che i popoli dell’antichità
classica avevano pienamente conosciuto; questa rappresentazione,
di un tipo fino ad allora ignorato, testimonia la
penetrazione in Europa di uno o di più nuovi
popoli.”
A sostegno delle sue
affermazioni cita numerosi autori del medioevo, dimostrando
che gli Unni, i Magiari e più tardi o Tartari,
erano considerati dai contemporanei come una “razza
satanica”.
Lo studio di Zadar
è un’illustrazione perfetta dello stesso
fenomeno che incontriamo nell’arte a partire
dal XIV-XIII secolo a.C., cioè al momento della
comparsa delle più antiche immagini babilonesi
dei centauri che tirano con l’arco. Simili immagini,
così come le rappresentazioni della leggendaria
“freccia del Parto”, sono comparse
di volta in volta in diverse aree del mondo civilizzato
come conseguenza diretta di grandi invasioni di nomadi
cavalieri. Al fondo di questo fenomeno vi è
sempre lo choc prodotto dall’incontro di popoli
che differiscono diametralmente nel loro modo di vivere
e nella loro maniera di combattere.
NOTE:
- G.T. Denison, A
History of Cavalry from the Earliest Times. London,
1a ed. 1877, 2a ediz. 1913
- William Ridgeway,
The Origin and Influence of the Thoroughbred Horse.
Cambridge, 1905.
- Ct Lefebvre des Noettes,
L’Attelage, le Cheval de Selle, à
traverse les ages. Contribution à l’histoire
de l’esclavage. Paris, 1931, 2 vol.
- G. Hermes, “Das
gezahmte Pferd im neolithischen und fruhbronzezeitlichen
Europa”, Anthropos, vol. XXX, Wien, 1935,
p. 803-823; vol. XXXI, 1936, p. 115-129.
- A.J.R. Lamb, The
History of the Horse. London, 1938
- H.A. Potratz, Das
Pferd in der Fruhzeit. Rostock, 1938.
- J. Wiesner, Fahren
und Reiten im Alteuropa und im alten Orient. Derr
Alte Orient, vol. 38., Lripzig, 1939.
- Graham Clark, “Horses
and Battle-axes.”, Antiquity, vol XV,
1941, p. 50 ff.
- V.G. Childe, “Horses,
chariots and Battle-axes”, Antiquity,
vol. XV, 1941, p. 196 ff.
- Loc. cit.,
p. 24 f.
- Valentin Muller,
“Die Petroglyphen von Demir-Kapu”, Zeitschrift
fur Ethnologie, vol. 56, 1924, p. 176 ff.
Pferd, Reallexikon-Ebert, vol. X, 1927-1928,
p. 109 ff. H. R. Hall, The Oldest Representation
of Horsemanship. Liverpool AAA, vol XVIII, 1931,
p. 3-H.A. Portratz, loc.cit., p.22 ff.
49. A- Moortgat, Die bilende Kunst des alten
Orient und die Bergvolker. Berlin, 1932, p. 53
f. A. Roes, “The Goat and the Horse in
the cult of Hither Asia.” Studia Vollgraff.
Amsterdam, 1948, p. 111 ff.
- L.W. King, Babilonian
Boundary Stones and Memorial Tablets in the British
Museum. London, 1912, pl. XXIX, n° XXIX, n°
90829, p. 19- Ibid., A History of Babilon.
London,1919, p. 248 G. Perrot e Ch. Chipiez,
Histoire de l’Art dans l’Antiquité.
Paris, 1884, vol. III, p. 603, fig. 412 O.
Montelius, Die alteren Kultur-perioden in Orient
und Europa. Vol. II, Stockholm, 1916-1923, p.
201, fig. 626
- E. Porada, “On
the Problem of Kassite Art.” Archaeologia
Orientalia in memoriam E: Herzfeld, 1952, p. 180,
pl. XXIX, 2
- Musée du
Louvre, Catalogue. Pl. 86, n° 20/A 653/.
- E. Berthe, Kentauren,
RE. Pauly-Wissowa, vol. 21, 1921, p. 172 ff.- O. Montelius,
loc. cit., p.201, note 2.
- P. Hancar, “Ross
und Reiter im urgeschichtlichen Kaukasus.” Ipek,
vol. X, 1935, p. 59
- Loc. cit.,
p. 79
- S.P. Tolstov, Drevnii
Khorezm. Moscou, 1948, p. 213-227
- Herodotus, VII, 84-86.
A. Christensen, Kulturgeschichte des Alten
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- E.A. Wallis Budge,
Assyrian Sculptures in the British Museum. London,
1914, pl. XVII.
- Loc. cit.,
p. 199 f.
- Loc. cit.,
p. 12.
- L.W. King,
Bronze Reliefs from the Gate of Shalmaneser, King
of Assyria B.C. 860-825. London, p. VII, XLVIII,
LIII, LXXI, etc.
- British Museum,
Assyrian Antiquities, Part III, London 1872, n°
484,492.- G. Perrot e Ch. Chipiez, loc. cit.,
vol. II, fig.5.
- E.H. Minns, Scythian
and Greeks. Cambridge, 1913, fig. 93, 94.
- A.T. Olmstead, History
of Assyria. New York-London, 1923, p. 89 ff.
- Vedi nota 23.
- F. Hancar, “Nadelformen
des prahistorischen Kaukasusgebietes”, ESA,
vol. VII, 1932, p. 140 ff., fig. a-c- - ibid.,
Ross und Reiter, p. 49 ff, pl. 14 ; 1.
- J. Wiesner, loc.
cit., p. 48, 63.
- J. Kromayer e G.
Veith, Heerwesen und Kriegfuhrung der Griechen
und Romer. Munchen, 1928, p. 54, 90 f.
- J. Wiesner, loc.
cit., p. 54 ff.
- H. Kuhn, “Die
Reiterscheiben der Volkerwanderungszeit”, IPEK,
vol. XII, 1938, p. 95-115.
- M. Tolstoi e N. Kondakov,
Russkiia drevnosti v pamiatnikakh iskustva.
2a ed. Saint-Petersbourg, 1889. Vol. 1, fig. 14, 35,
109, 117; vol. II, fig. 50, 51, 90, 123.
- IV, 120.
- Anabasis, III, 3,
10.
- E. Bulanda, Bogen
und Pfeil bei den Volkern des Altertums. Wien-Leipzig,
1913, p. 51.
- E. Bulanda, loc.
cit., p. 60 f. Elenca tutte le citazioni della
letteratura antica relative a questo soggetto.
- La dottrina scita
è servita conme soggetto ad alcune opere recenti,
per es. J. Wiesner, loc. cit., p. 84
S.P. Tolstov, loc. cit., p. 122. B.D.
Blavatskii, “O strategii i taktike Skithov”,
KSIIMK, vol XXXIV, 1950, p. 19 ff.
- M. Rostovtzeff, “The
Partian Shot”, America Journal of Archaeology,
vol XLVII, 1943, p. 174-187.
- J.V. Prasek, Geschichte
der Meder und Perser bis zur Makedonischen Eroberung.
Vol. I, Gotha, 1906, p. 119 ff. 141 ff. L.
Piotrowicz, “ L’invasion des Scythes en
Asie Antérieure au VII siècle a.V.),
EOS, vol. XXXII, Lwow, 1939, p. 473-508. N.
Adontz, Histoire d’Arménie. Paris,
1946, p. 308 ff.
- M. Rostovtzeff, loc.
cit. p. 180.
- Heroditus, VI, 40.
- M. Rostovtzeff, loc.
cit. p. 182.
- British Museum, Dept
of Assyrian Antiquities, n° 89816.
- Loc. cit.,
p. 181 f.
- Dept of Greek and
Roman Antiquities.
- Loc. cit.,
p. 181.
- T. Sulimirski,
“Kultura luzycka a Scytowie”, Wiadomosci
Archeologizne, vol XVI, Varsovie, 1939-1948, p.
76-100. Ibid., “Scythian Antiquities
in Central Europe”, Antiquaries Journal,
vol. XXV, 1945. P. 1-11. Ibid., “Zagadnienie
upadku kultury luzyckiej”, Slavia Antiqua,
vol 1, Poznan, 1948, p. 152-156. Ibid.,
Some Remarks on the Scythian Expansion in Europe about
500 a.C.. III° Congrès International des
Sciences Anthropologiques, Bruxelles, 1948, résumés
des Communications.
- Loc. cit.,
p. 174 ff., 186.
- Loc. cit.,
p. 213.
- M. Tolstoi e N. Kondakov,
loc. cit., vol. III, fig. 84, 90, 91, 92, 97.
S. Reinech, “La Représentation
du Galop dans l’Art Ancien et Moderne”,
Revue Archéologique, 3a Série,
vol. XXVII, 1900, p. 256, fig. 84, 85.
- A. H. Layard, A
Popular Account of Discoveries at Nineveh. London,
1852, p. 222.
- M. Rostovtzeff, loc.
cit. p. 185. S.V. Kiselev, Drevniaia
istoria iuznoi Sibiri. Moscou, 1951, 2a ed., p.
623. W.Perceval Yetts, “The Horse: A
Factor in Early Chinese History”, ESA,
vol. IX, 1934, p. 231 ff., fig. 4.
- S.V. Kiselev, loc.
cit., p. 627.
- S.V. Kiselev, loc.
cit., p. 622 ff., pl. LVII, 1-4, LVII, 2,12.
- S. Reinach, loc.
cit., vol. XXVI, 1900, p. 235, fig. 30; vol. XXXVII,
1901, p. 242, fig. 147, pl. VII.
- Kadar. “L’influence
des pueples cavalier nomades sur la formation des
représentations médiévales des
centaures.” Acta Archeologica, vol. II/4.
Budapest, 1952, p. 307-318.
Tratto da:
REVUE INTERNATIONALE
D’HISTOIRE MILITAIRE
1952 N° 12
GLI ARCIERI A CAVALLO, CAVALLERIA LEGGERA DEGLI ANTICHI
di T. Sulimirski
Professore
all’Università di Cracovia, docente della
Facoltà di Lettere dell’Università
Polacca all’estero di Londra
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