Contributi

GLI ARCIERI A CAVALLO, CAVALLERIA LEGGERA DEGLI ANTICHI


La storia del cavallo al servizio dell’uomo ha molti secoli. Fin dall’alba della storia il cavallo è servito a scopi guerrieri. Una vasta letteratura tratta il soggetto del suo ruolo militare. Sarà sufficiente citare solamente le opere più significative, sia le più vecchie: G.T. Denison1, William Rdgeway2, sia quelle più recenti di: Lefebvre des Noettes3, G. Hermes4, A.J. Lamb5, H.A.Potratz6, J.Wiesner7, Graham Clark8, V.G. Childe9, etc.

 

Ricerche basate su una grande quantità di documenti provano che la modalità più antica di utilizzo del cavallo a scopi militari  fu l’attacco ai carri da combattimento. L’equitazione era evidentemente conosciuta da molto prima, ma così come ritiene H.A. Portratz10, fu necessario attendere l’invenzione della staffa, condizione per una posizione più stabile, per trarre vantaggio per il cavaliere nell’azione di combattimento. L’utilizzo delle staffe non entrò nella pratica se non dopo l’era cristiana. La cavalleria, in quanto impiegata come formazione compatta e come unità tattica appare nelle battaglie nel corso del primo millennio a. C.; gli Assiri l’avevano introdotto nell’esercito regolare ma questa non poteva giocare che un ruolo secondario e serviva soprattutto ad inseguire il nemico vinto o per le operazioni ai fianchi; non poteva essere utilizzata come truppa d’urto decisiva per il combattimento.

Le rappresentazioni equestri conosciute più antiche datano al terzo millennio a.C., ma già nel 2° millennio il numero di queste immagini aumenta considerevolmente.11

L’armamento del cavaliere consisteva allora in una lancia e, quasi sempre, di uno scudo tondo. In quel periodo l’arte di tirare con l’arco da cavallo aveva raggiunto una perfezione tale da essere ancora ignorata dai popoli civilizzati dell’antico Oriente; alcune rappresentazioni della glittica babilonese del 2° millennio a.C. ce ne danno la prova.

Altre figure che possiamo considerare appartenenti alle prime rappresentazioni d’arcieri  a cavallo, ci mostrano dei centauri che tirano mentre sono al galoppo. Una di queste è scolpita su pietre di delimitazione dei terreni di Babilonia, provenienti dal periodo di Mélishipak II (1216-1202 a.C.), re della dinastia dei Cassiti.12 Qui vediamo un centauro alato la cui metà animale ricorda sia il cavallo che forse il cane o qualche animale al galoppo. Ha sul capo un berretto a punta e tira con l’arco in avanti (fig. 1) Un’immagine simile di centauro, metà uomo che tira con l’arco in avanti e metà toro, cervo o altro animale alato, databile al XIV-XIII secolo a.C. è pubblicata da E. Porada.13 Un fenomeno ancora più fantastico è un centauro scolpito sulla superficie di un cilindro assiro dell’inizio del primo millennio a.C.4; è una combinazione mezzo uomo, mezzo leone alato o forse un uccello.

Queste figure di centauri dimostrano chiaramente che già allora (metà del secondo millennio a.C.) alcuni popoli nomadi tiravano con l’arco su un cavallo al galoppo e che la cosa era nota a Babilonia. D’altra parte il fatto che questi non siano che dei fenomeni isolati e che il contatto dei babilonesi con questi arcieri equestri non abbia esercitato nessuna influenza sull’arte militare della Mesopotamia del secondo millennio a.C. sembra provare che questi rapporti dovettero essere insignificanti. Questi cavalieri leggendari non hanno lasciato che il ricordo di uomini stranieri che facevano tutt’uno col loro cavallo fin dalla loro infanzia e che tiravano con l’arco. Del resto, col tempo, questi ricordi si affacciano sempre di più ed i popoli immemori assegnavano ai centauri forme sempre più fantastiche; la metà animale di queste figure diveniva sempre meno somigliante ad un cavallo.

A questo proposito occorre notare che i centauri, come tema favorito dell’arte greca, sono un fenomeno molto più tardo. Nella loro forma classica, messo uomo e mezzo cavallo, non appaiono che verso la fine del VI° secolo a.C., dunque nel periodo nel quali i greci avevano già incontrato i cavalieri nomadi sciti nei territori delle colonie greche del Mar Nero. Secondo i più antichi racconti greci, i centauri non avevano nulla a che fare né con il cavallo né con l’arco. Erano semplicemente dei demoni silvestri localizzati soprattutto in Tessaglia.5

Utilizzato sin dall’inizio sui carri da combattimento, l’arco non apparve, come arma del cavaliere,  prima della prima metà del primo millennio a.C.; viene introdotto nell’esercito assiro da Assur-natsir-apli (885-859 a.C.). A partire da allora, immagini reali d’arcieri a cavallo, e non solamente come quelle di un tempo ritraenti centauri fantastici, si trovano sempre più frequentemente nell’arte antica.

L’introduzione degli arcieri a cavallo nell’esercito assiro non era tuttavia una manifestazione della loro specifica scienza militare. F. Hancar6 e J. Wiesner7 giustamente sottolineano che l’introduzione della cavalleria ai lati dei carri da combattimento trainati da cavalli utilizzati come arma principale, si spiega con la necessità di adattarsi alle nuove modalità tattiche introdotte dai popoli dei cavalieri nomadi provenienti dal Nord. Evidentemente il carro da combattimento non era più sufficiente, soprattutto nelle zone nelle quali l’Assiria doveva lottare contro i nuovi venuti.

Una volta introdotta nell’esercito siriano la cavalleria entra definitivamente nella composizione di tutte le truppe regolari fino a giorni nostri. Il suo sviluppo si manifesterà in due modalità principali. A partire dal periodo assiro noi vediamo evolversi sui campi di battaglia la cavalleria pesante corazzata che combatteva soprattutto con l’aiuto della lancia, del giavellotto, della spada e dell’ascia. S.P. Tolstow18 ne fornisce una breve schizzo nella sua storia dell’Oriente antico e dell’Asia occidentale. Tutte gli Stati dell’antichità che hanno successivamente tentato di dominare l’Asia occidentale, a cominciare dalla Persia degli Achemenidi, possedevano una cavalleria corazzata. Ma è Alessandro il Grande che ne aveva fatto il primo impiego tattico nel corse delle sue guerre contro la Persia. Più tardi questa figurerà nelle formazioni militari soprattutto nella Battriana e nella Chorezme.

Il secondo tipo di cavalleria, che d’altra parte coesisteva con la cavalleria corazzata, era la cavalleria leggera che combatteva soprattutto con l’aiuto dell’arco. Questo tipo di formazione, introdotta nell’esercito dagli Assiri, era caratteristica dei popoli nomadi. Fece parte più tardi di tutti gli eserciti regolari di tutte la nazioni orientali, come per esempio nell’esercito degli Achemenidi (VI-IV secolo a.C.); formava allora un distaccamento irregolare i cui contingenti venivano forniti dalle tribù conquistate della zona Nord dell’Asia occidentale19.

L’organizzazione degli arcieri a cavallo nell’esercito regolare assiro non fu affatto un lavoro facile. Per i nomadi, che sin dalla loro infanzia si esercitavano al tiro con l’arco ed a montare a cavallo, il fatto di tirare con l’arco montando la loro cavalcatura era cosa di tutti i giorni. Per gli arcieri fanti dell’Assiria occorreva prima di tutto imparare a cavalcare. La ricca glittica assira ci fornisce un eccellente quadro delle difficoltà incontrate e ci dimostra che l’adattamento degli arcieri a piedi al nuovo modo di combattere avvenne lentamente. I bassorilievi del palazzo nord-occidentale di Nimroud, costruito da Assur-natsir-apli II20, rappresentano i primi distaccamenti di arcieri equestri assiri; la loro abilità nell’equitazione, come sottolinea Lefebvre del Noettes21, era “allo stadio dell’infanzia”. Vediamo qui dei cavalieri “con un assetto incerto, le gambe contratte ed aggrappate degli inesperti”; l’arciera non sa ancora tirare e guidare il cavallo nello stesso tempo, deve ricorrere all’aiuto di in palafreniere (fig. 2) che conduce il cavallo nel corso del combattimento e nello stesso tempo lo protegge con uno scudo. G.T. Denison22, analizzando queste rappresentazioni, ipotizza che si siano semplicemente presi degli arcieri da un carro da combattimento facendoli montare sui cavalli staccati da questo. L’ipotesi sembra accettabile, poiché l’arciere è vestito con una tunica mentre il cavallo porta all’incollatura una specie di collana che ricorda i finimenti dei cavalli dei carri da combattimento. Un altro argomento: l’arco grande, che è dello stesso tipo di quello che equipaggiava gli arcieri dei carri da combattimento. Aggiungiamo che anche la ripartizione delle funzioni tra l’arciere ed il palafreniere è la stessa di quella che avveniva nel corso del combattimento con i carri.

Nel corso del regno del signore degli Assiri successivo, Salmanasar III (858-828 a.C.), gli arcieri hanno ancora un palafreniere, ma costui è già armato con un giavellotto23. I bassorilievi successivi dimostrano un grande progresso degli arcieri nell’equitazione: ai tempi di Assurbanipal (669-626 a.C.) il re stesso caccia a cavallo, tirando con l’arco al galoppo e conduce egli stesso il cavallo24.

Come già abbiamo detto, l’introduzione degli arcieri a cavallo nell’esercito regolare assiro venne originato dal contatto con un nemico che già possedeva formazioni di questo genere. Troviamo testimonianza i questa affermazione su un bassorilievo di Nimroud (fig.3) proveniente  dallo stesso palazzo di Assurbanipal II; mostra due cavalieri nemici che fuggono al galoppo.  Hanno il capo ricoperto con un berretto a punta, probabilmente di feltro, il loro costume – pantaloni larghi, e calzature di cuoio morbido – ricorda quello che portavano gli Sciti del celebre vaso ritrovato nella tomba (kurgan) di Koul-Oba in Crimea, e risalente al IV° secolo a.C.25 E’ d’altronde possibile che questi due soldati calzino gli stivali, come suppone Layard; in ogni caso, non hanno i piedi nudi come i cavalieri assiri e non montano il cavallo al pelo ma lo hanno ricoperto con una schabraque.

Hanno ciascuno una spada attaccata al fianco ed tengono in pugno un arco corto, di un tipo diverso da quello degli Assiri. Uno dei cavalieri si gira e tira verso gli inseguitori, l’altro, tenendo l’arco con una mano, alza l’altro braccio in segno di resa.

Ciò che prova che la pressione dei popoli del Nord ha costretto gli Assiri ad impiegare nell’esercito gli arcieri a cavallo è pure la direzione delle spedizioni assire che, nel periodo nel quale questo esercito venne costituito, si dirigono nella maggior parte dei casi verso Nord26. Un’altra prova ci viene fornita dalle scene riprodotte sulle porte di bronzo a Balavat27, concernenti le spedizioni dello stesso re Salmasar III. Gli arcieri a cavallo vi figurano solamente nella spedizione nella Siria del nord, a Hamath, così come in quella ad Ourartou, Stati limitrofi dell’Assiria del Nord.

Abbiamo una sola rappresentazione di un arciere a cavallo di quest’epoca: proviene dalle zone poste a nord dell’Assiria. E’ un minuscolo cavaliere nudo con una faretra a tracolla. Questa statuetta è l’estremità di una spilla di bronzo trovata in una delle tombe del cimitero di Koban nel Caucaso28. Questa tomba, come sostiene F. Hancar, doveva essere quella di un ricco guerriero ed il fatto che non si sia trovato nessun oggetto in ferro sembra indicare una sepoltura molto antica.

Il tiro con l’arco a cavallo non si è diffuso nei paesi europei, né allora, né più tardi. Questo genere di combattimento esigeva una perfetta conoscenza dell’equitazione, una grande agilità ed allo stesso tempo abilità ed esperienza nel tiro con l’arco in movimento. Solamente i nomadi, addestrati fin dall’infanzia a questi esercizi ed alla lotta potevano possedere queste abilità a questo livello. Questa è la ragione per la quale, al di fuori degli Sciti, in Europa solo i Traci potevano fornire dei buoni arcieri a cavallo. Questi specialisti abitavano principalmente la Bulgaria e la Romania attuali. L’arco venne anche impiegato in Grecia dalla cavalleria della Beozia29. Anche Atene, per un breve periodo di tempo, all’inizio della guerra del Peloponneso (IV secolo a.C.) mantiene un distaccamento di arcieri a cavallo, ma erano mercenari o meglio degli schiavi di stato, sciti per la maggior parte, che svolgevano un’attività di polizia nel paese. Nelle formazioni regolari la cavalleria greca aveva come armi offensive la spada, la lancia ed il giavellotto30.

Più lontano, in occidente, la cavalleria non aveva mai adottato l’arco. Il fatto che l’arco non venisse impiegato dalla cavalleria dell’Europa centrale ed occidentale è documentato da numerose immagini di cavalieri della civiltà di Hallstatt, così come dai disegni dei cavalieri ritrovati sulle rocce scandinave, o sui vasi funerari delle tombe dell’Europa centrale. Vi troviamo dei cavalieri armati unicamente di lance, di spade o di asce31. Osserviamo lo stesso fenomeno nei periodi successivi, nel corso delle migrazioni dei popoli (VI-VII secolo a.C.)32, come pure nel medioevo in occidente nel quale l’arco come arma della cavalleria non fu impiegato che in via del tutto eccezionale.

La sconfitta degli Sciti nelle steppe del Mar Nero (nel II° secolo a.C.) che venne loro inflitta dai loro consanguinei, i Sarmati, avviò il declino della cavalleria leggera armata d’arco in questa parte dell’Europa. La cavalleria sarmata ricoperta di cotta di maglia combatteva col giavellotto, con la lancia e l’ascia. A giudicare dalle immagini equestri dello Stato del Bosforo, la cui zona centrale era situata in Crimea, risalenti al I° secolo a.C.33, la lancia, l’ascia ed il gladio rimasero a lungo le armi principali nell’Europa orientale così come nell’Europa centrale ed occidentale. In compenso l’arco, come arma della cavalleria leggera, è sempre stato utilizzato in Asia, soprattutto tra i cavalieri nomadi delle steppe e non è stato rimpiazzato dalle armi da fuoco se non nel XIX° secolo.

Il modo di combattere della cavalleria leggera dei nomadi delle steppe era molto diverso da quello degli eserciti regolari. Un tratto caratteristico di questo modo era quello di attaccare il nemico in massa, al grande galoppo, e di ricoprirlo con un nugolo di frecce. Se l’attività offensiva lasciava il posto a quella difensiva, la cavalleria fuggiva al galoppo scagliando frecce all’indietro contro gli inseguitori. Questo modo di combattere, utilizzato soprattutto dagli Sciti (VII°-II° secolo a.C.) venne in seguito adottato dai popoli nomadi, compresi i Tartari. Gli Sciti, così come altri nomadi più tardi, evitavano lo scontro decisivo del corpo a corpo e si sforzavano soprattutto di disturbare, stancare e demoralizzare il nemico, asfissiandolo con attacchi continui seguiti da ritirate.

I grandi successi degli Sciti nei loro combattimenti contro gli eserciti regolari ben equipaggiati dell’Oriente antico nel VII° secolo e poi in Europa nel VI e V secolo a.C. sono dovuti, con tutta probabilità, alla loro consuetudine nell’utilizzo di questa tattica che era completamente diversa da quella con la quale si confrontavano abitualmente gli eserciti regolari d’Oriente ed i guerrieri europei. Questa tattica prendeva di sorpresa un nemico che non aveva modo alcune per rispondervi: questa tattica era strettamente legata al modo di vivere degli arcieri a cavallo delle steppe sicché difficilmente poteva essere adottata dalle altre nazioni. A giudicare dai successi che gli Sciti conseguirono subito al primo contatto, si può dire che fosse efficace solamente nei confronti di un nemico sconcertato e sorpreso.

Le stesse osservazioni si ripeterono più tardi, quando apparvero nella storia altri popoli venuti dalle steppe, compresi i Tartari del medioevo ed i moderni Cosacchi.

Il modo di combattere e la tattica degli Sciti furono presto l’oggetto di un interesse appassionato: Erodoto34 e Senofonte35 le descrissero. La fama degli Sciti come arcieri fu così generale nei secoli precedenti la nascita di Cristo che presso i Greci lo stesso nome “scita” era sinonimo d’arciere36. Ai tempi dei Romani, quando lo stato del Ponto Eusino degli Sciti non esisteva più, questa fama divenne retaggio dei Parti dell’Asia occidentale; i Romani temevano in modo particolare il loro tiro al galoppo con le spalle girate e rivolti verso l’inseguitore37.

E’ evidente che l’arte di padroneggiare il cavallo e di tirare con l’arco al galoppo doveva molto impressionare coloro che per la prima volta ne erano testimoni. Questo è il motivo per cui dopo il periodo romano l’espressione “tiro parto” divenne in uso; bisognerebbe piuttosto dire “tiro scita” poiché sono stati gli Sciti ad utilizzare questo modo di combattere, per primo ed addirittura molti secoli prima dei Parti38.

L’impressione prodotta sui contemporanei dal “tiro parto” si riflette nell’arte plastica di quel periodo nei paesi esposti all’attacco dei nomadi. Qui il motivo dell’arciere che tira al galoppo si ripete parecchie volte. M. Rostovtzeff39 ha dedicato uno studio a questa questione; ha collezionato e descritto numerose rappresentazioni plastiche nelle quali questo motivo appariva in scene di battaglia e di caccia.

Come prova il bassorilievo siriano della prima metà del II° secolo a.C. nel palazzo di Assur-natsir-apli II (fig.3), bassorilievo che Rostovtzeff, non ha del resto citato, l’arte di tirare a cavallo era da tempo praticata dai cavalieri delle steppe. Ma questo bassorilievo, che è la rappresentazione più antica del “tiro parto” indica tuttavia un fenomeno isolato. Stabilisce tuttavia che all’inizio del IX° secolo a.C. alcuni popoli delle steppe dovettero confluire dal Nord nell’Asia occidentale ed entrarono in contatto con l’Assiria. E’ allo stesso modo possibile che questi fossero gli antenati degli Sciti quali, dapprima respinti, hanno devastato 200 anni più tardi diversi paesi dell’Asia occidentale per andare a finire alle frontiere dell’Egitto40.

E’ da questo periodo dell’invasione degli Sciti nell’Asia occidentale(VII° secolo a.C.) che provengono le rappresentazioni  del “tiro parto” di cui parla Rostovtzeff41.Questo motivo diviene di nuovo popolare nell’arte ionica del VI° secolo a.C. quando le truppe scite avanzano fino ai dardanelli42. E’ durato fino alla seconda metà del V° secolo a.C.. Ma, sulle successive immagini, mano a mano che l’impressione si affievolisce, le immagini degli Sciti che tirano al galoppo divengono più convenzionali e finiscono con lo scomparire completamente43.

Questo motivo appare anche un po’, nello stesso periodo, nell’arte persiana o greco-persiana dei tempi degli Achemenidi. Qui si rappresentano Sciti occidentali o Saques che i Persiani spesso dovevano combattere. A questo gruppo appartiene la figura del Saque che tira al galoppo, scolpita su un cilindro persiano del V-VI° secolo a.C. (fig. 4) che Rostovtzeff ha omesso nella sua rassegna delle rappresentazioni del “tiro parto44.

Anche in Italia si incontrano interessanti raffigurazioni del “tiro parto”. Alcuni cavalieri in posizione di tiro costituiscono la decorazione di celebri vasi pontini. Qui si trovano anche delle immagini di arcieri a cavallo nella decorazione della bordatura di urne di bronzo della Campania. M. Rostovtzeff le ha descritte45, ma ha tuttavia dimenticato nella sua descrizione le quattro immagini che ornano un’altra urna di bronzo oggi esposta al British Museum di Londra46; assomigliano alle immagini di un vaso dello stesso museo di cui egli fornisce la descrizione. Queste immagini di metallo, una delle quali è riprodotta nella figura 5, rappresentano dei cavalieri al galoppo, dei quali tre tirano all’indietro ed il quarto in avanti; sono delle stesse dimensioni o un  po’ più grandi  di quelle del primo vaso descritto da Rostovtzeff, cioè 11 cm. In altezza e 15 in lunghezza. Superano di molto le immagini del primo vaso per quanto riguarda i dettagli del costume e l’esattezza della riproduzione.

Le citate immagini di arcieri che tirano al galoppo non rappresentano, evidentemente, cavalieri italiani ma cavalieri sciti; costituiscono un documento storico di grande interesse. M. Rostovzeff descrivendole formula l’ipotesi che queste possano essere state create da artisti etruschi i quali ripetevano un motivo preso in prestito dagli artisti ionici dell’Asia Minore, i quali a loro volta si erano appropriati del motivo favoriti dai loro contatti con gli Sciti nelle colonie ioniche del Mar Nero. Egli sottolinea che le immagini degli Sciti sono molto realistiche e dettagliate nella riproduzione del costume, come se l’artista avesse egli stesso visto i suoi modelli.

E’ pertanto difficile ammettere che queste immagini di Sciti, così realistiche e fedelmente riprodotte possano essere un motivo artistico proveniente dall’Asia Minore e dal Ponto Eusino non direttamente ma tramite i greci ionici. Un realismo molto spinto nella riproduzione dei dettagli di second’ordine è sorprendente. Sulle immagini del vaso alle quali appartiene la figura 5 si distingue il fine lavoro della cotta di maglia dei cavalieri, come pure i loro capelli lunghi che scivolano sul collo al di sotto del cappello a punta.

Questa precisione indica che l’artista che ha eseguito l’opera ha visto i suoi modelli con i propri occhi, ma, per vedere gli Sciti non aveva bisogno di andare fino al Ponto, li poteva incontrare al centro dell’Europa stessa.

Le immagini in questione datano, secondo Rostovtzeff alla fine del VI° secolo a.C.47. Fu proprio il periodo della grande invasione dell’Europa centrale da parte degli Sciti di cui ho già parlato parecchie volte altrove48. Questa migrazione armata, avvenuta intorno al 5oo a.C. ebbe come vittima principale la civiltà Lusaziana. Nella direzione occidentale, come ho già dimostrato, le truppe scite giunsero fino in Francia, mentre a sud si sono trovate loro tracce ai confini con l’Italia. Questi avvenimenti ebbero la stessa importanza delle invasioni tartare del medioevo. La comparsa di questi assalitori selvaggi a cavallo, che combattevano in modo insolito, doveva forzatamente spargere terrore ed infiammare l’immaginazione di contemporanei; questi conquistatori barbari servirono da modello agli artisti etruschi le cui opere sono oggi documento storico d grande valore. Al di fuori della vestigia archeologiche lasciate dagli Sciti nei paesi attraversati dalle loro bande, queste opere artistiche affermano il carattere e le dimensioni della sconfitta subita in queste regioni europee.

Un’altra serie di rappresentazioni di “tiro parto” è costituita dalle immagini di cavalieri parti della Siria del Nord. Come fa notare Rostovtzeff49, è probabilmente un’illustrazione dei successi dei Parti nelle loro battaglie con i Romani. Ma, benché i Parti fossero noti dai popoli italiani come arcieri e che il loro modo di tirare al galoppo al di sotto della spalla abbai causato delle perdite pesanti alle truppe romane, il merito della loro vittoria schiacciante sulle legioni di Crasso nel 53 a.C., deve essere attribuito alla loro cavalleria pesante corazzata. Come dimostra S.P. Tolstov50, i Parti applicarono in questa occasione una tattica per nulla nuova: la cavalleria corazzata attacca, in formazioni compatte, le legioni, ricoprendole con un’enorme quantità dei frecce. Il motivo del “tiro parto” si è fortemente diffuso nell’arte persiana sassanide (II°-VII° secolo a. C.)51: è stata la conseguenza del contatto costante di questo popolo con i nomadi equestri delle steppe del Turkestan. La Persia possedette, del resto, fino al XIX° secolo una sua cavalleria leggera armata con l’arco52.

Dall’altra parte il confronto frequente tra la civiltà cinese ed i cavalieri delle steppe dell’Asia orientale ebbero come effetto la comparsa frequente del motivo del “tiro parto” nell’arte cinese della dinastia Han (dal 220 al 263 a.C.)53 ed in quella dei periodi successivi. Questo motivo fece lo stesso cammino fino al Giappone dove lo incontriamo su un vaso d’argento databile all’anno 776 a.C.54.

Le figure di arcieri kirghisi che tirano all’indietro al galoppo alla selvaggina sono piene di realismo e di espressione (fig. 6)55. Costituiscono la decorazione della parte anteriore delle selle trovate nel kurhan (tomba) kirghiso di Kopenska Tchaatas sulla sponda dello Iènissei, databili al VI-VII secolo a.C.

L’antico modo di combattere scita: l’attacco, la nuvola di frecce sui ranghi nemici e, in caso di ritirata provocata da una resistenza inattesa, la fuga con un tiro intenso contro gli inseguitori, apparve di nuovo in Europa nel medioevo portato dalle steppe asiatiche dove si era conservato fino a quel periodo56. Arrivò con la cavalleria leggera mongola nel periodo delle invasioni tartare del XII° secolo e di nuovo, come i guerrieri dell’antichità, i cavalieri polacchi ed ungheresi tutti ricoperti di ferro furono presi alla sprovvista.

Quando prevalsero negli eserciti le armi da fuoco, la pistola rimpiazzò l’arco. L’arte di tirare con l’arco in pieno galoppo, e soprattutto di tirare all’indietro, scomparve. Per condurre il cavallo e nello stesso tempo sparare con la pistola non occorreva altrettanta abilità ed addestramento. Il tiro all’indietro era perciò diffuso tra i Cosacchi del XIX° secolo. Venne anche applicato da entrambe le parti durante la guerra polacca-bolscevica del 1920; questa guerra fu, sembra, l’ultima nella quale la lotta, su un vasto settore del fronte, venne condotta esclusivamente con eserciti a cavallo.

SUPPLEMENTO 

Dopo aver terminato questo articolo ho avuto la possibilità di prendere conoscenza dell’opera di Z: Kadar57 sulle rappresentazioni medioevali dei centauri. Questo autore fornisce la descrizione, illustrata da numerose incisioni, di tutta una serie di rappresentazioni di questi centauri provenienti per la maggio parte dal XII° secolo e da diverse parti d’Europa. Ciò che è più importante secondo noi è il fatto che una grande parte dei centauri in questione è rappresentata al galoppo mentre tirano con l’arco all’indietro.

Z. Kadar esprime il parere che qui non abbiamo a che fare con un motivo preso in prestito o ereditato dall’arte antica. Egli sottolinea che la comparsa nell’arte medioevale dei centauri che tirano con l’arco fu il risultato della viva impressione prodotta sui contemporanei dalla tattica dei cavalieri nomadi che avevano, in quei tempi sconvolto, in tutti i sensi, l’Europa. “In questo caso si tratta della rappresentazione di una tattica che i popoli dell’antichità classica avevano pienamente conosciuto; questa rappresentazione, di un tipo fino ad allora ignorato, testimonia la penetrazione in Europa di uno o di più nuovi popoli.

A sostegno delle sue affermazioni cita numerosi autori del medioevo, dimostrando che gli Unni, i Magiari e più tardi o Tartari, erano considerati dai contemporanei come una “razza satanica”.

Lo studio di Zadar è un’illustrazione perfetta dello stesso fenomeno che incontriamo nell’arte a partire dal XIV-XIII secolo a.C., cioè al momento della comparsa delle più antiche immagini babilonesi dei centauri che tirano con l’arco. Simili immagini, così come le rappresentazioni della leggendaria “freccia del Parto”, sono comparse di volta in volta in diverse aree del mondo civilizzato come conseguenza diretta di grandi invasioni di nomadi cavalieri. Al fondo di questo fenomeno vi è sempre lo choc prodotto dall’incontro di popoli che differiscono diametralmente nel loro modo di vivere e nella loro maniera di combattere. 

NOTE:

  1. G.T. Denison, A History of Cavalry from the Earliest Times. London, 1a ed. 1877, 2a ediz. 1913
  2. William Ridgeway, The Origin and Influence of the Thoroughbred Horse. Cambridge, 1905.
  3. Ct Lefebvre des Noettes, L’Attelage, le Cheval de Selle, à traverse les ages. Contribution à l’histoire de l’esclavage. Paris, 1931, 2 vol.
  4. G. Hermes, “Das gezahmte Pferd im neolithischen und fruhbronzezeitlichen Europa”, Anthropos, vol. XXX, Wien, 1935, p. 803-823; vol. XXXI, 1936, p. 115-129.
  5. A.J.R. Lamb, The History of the Horse. London, 1938
  6. H.A. Potratz, Das Pferd in der Fruhzeit. Rostock, 1938.
  7. J. Wiesner, Fahren und Reiten im Alteuropa und im alten Orient. Derr Alte Orient, vol. 38., Lripzig, 1939.
  8. Graham Clark, “Horses and Battle-axes.”, Antiquity, vol XV, 1941, p. 50 ff.
  9. V.G. Childe, “Horses, chariots and Battle-axes”, Antiquity, vol. XV, 1941, p. 196 ff.
  10. Loc. cit., p. 24 f.
  11. Valentin Muller, “Die Petroglyphen von Demir-Kapu”, Zeitschrift fur Ethnologie, vol. 56, 1924, p. 176 ff. – Pferd, Reallexikon-Ebert, vol. X, 1927-1928, p. 109 ff. – H. R. Hall, The Oldest Representation of Horsemanship. Liverpool AAA, vol XVIII, 1931, p. 3-H.A. Portratz, loc.cit., p.22 ff. 49. – A- Moortgat, Die bilende Kunst des alten Orient und die Bergvolker. Berlin, 1932, p. 53 f. – A. Roes, “The Goat and the Horse in the cult of Hither Asia.” Studia Vollgraff. Amsterdam, 1948, p. 111 ff.
  12. L.W. King, Babilonian Boundary Stones and Memorial Tablets in the British Museum. London, 1912, pl. XXIX, n° XXIX, n° 90829, p. 19- Ibid., A History of Babilon. London,1919, p. 248 – G. Perrot e Ch. Chipiez, Histoire de l’Art dans l’Antiquité. Paris, 1884, vol. III, p. 603, fig. 412 – O. Montelius, Die alteren Kultur-perioden in Orient und Europa. Vol. II, Stockholm, 1916-1923, p. 201, fig. 626
  13. E. Porada, “On the Problem of Kassite Art.” Archaeologia Orientalia in memoriam E: Herzfeld, 1952, p. 180, pl. XXIX, 2
  14. Musée du Louvre, Catalogue. Pl. 86, n° 20/A 653/.
  15. E. Berthe, Kentauren, RE. Pauly-Wissowa, vol. 21, 1921, p. 172 ff.- O. Montelius, loc. cit., p.201, note 2.
  16. P. Hancar, “Ross und Reiter im urgeschichtlichen Kaukasus.” Ipek, vol. X, 1935, p. 59
  17. Loc. cit., p. 79
  18. S.P. Tolstov, Drevnii Khorezm. Moscou, 1948, p. 213-227
  19. Herodotus, VII, 84-86. – A. Christensen, Kulturgeschichte des Alten Orient. Die Iraner, Munchen, 1933, p. 276 ff.
  20. E.A. Wallis Budge, Assyrian Sculptures in the British Museum. London, 1914, pl. XVII.
  21. Loc. cit., p. 199 f.
  22. Loc. cit., p. 12.
  23. L.W. King, Bronze Reliefs from the Gate of Shalmaneser, King of Assyria B.C. 860-825. London, p. VII, XLVIII, LIII, LXXI, etc.
  24. British Museum, Assyrian Antiquities, Part III, London 1872, n° 484,492.- G. Perrot e Ch. Chipiez, loc. cit., vol. II, fig.5.
  25. E.H. Minns, Scythian and Greeks. Cambridge, 1913, fig. 93, 94.
  26. A.T. Olmstead, History of Assyria. New York-London, 1923, p. 89 ff.
  27. Vedi nota 23.
  28. F. Hancar, “Nadelformen des prahistorischen Kaukasusgebietes”, ESA, vol. VII, 1932, p. 140 ff., fig. a-c- - ibid., Ross und Reiter, p. 49 ff, pl. 14 ; 1.
  29. J. Wiesner, loc. cit., p. 48, 63.
  30. J. Kromayer e G. Veith, Heerwesen und Kriegfuhrung der Griechen und Romer. Munchen, 1928, p. 54, 90 f.
  31. J. Wiesner, loc. cit., p. 54 ff.
  32. H. Kuhn, “Die Reiterscheiben der Volkerwanderungszeit”, IPEK, vol. XII, 1938, p. 95-115.
  33. M. Tolstoi e N. Kondakov, Russkiia drevnosti v pamiatnikakh iskustva. 2a ed. Saint-Petersbourg, 1889. Vol. 1, fig. 14, 35, 109, 117; vol. II, fig. 50, 51, 90, 123.
  34. IV, 120.
  35. Anabasis, III, 3, 10.
  36. E. Bulanda, Bogen und Pfeil bei den Volkern des Altertums. Wien-Leipzig, 1913, p. 51.
  37. E. Bulanda, loc. cit., p. 60 f. Elenca tutte le citazioni della letteratura antica relative a questo soggetto.
  38. La dottrina scita è servita conme soggetto ad alcune opere recenti, per es. J. Wiesner, loc. cit., p. 84 – S.P. Tolstov, loc. cit., p. 122. – B.D. Blavatskii, “O strategii i taktike Skithov”, KSIIMK, vol XXXIV, 1950, p. 19 ff.
  39. M. Rostovtzeff, “The Partian Shot”, America Journal of Archaeology, vol XLVII, 1943, p. 174-187.
  40. J.V. Prasek, Geschichte der Meder und Perser bis zur Makedonischen Eroberung. Vol. I, Gotha, 1906, p. 119 ff. 141 ff. – L. Piotrowicz, “ L’invasion des Scythes en Asie Antérieure au VII siècle a.V.), EOS, vol. XXXII, Lwow, 1939, p. 473-508. N. Adontz, Histoire d’Arménie. Paris, 1946, p. 308 ff.
  41. M. Rostovtzeff, loc. cit. p. 180.
  42. Heroditus, VI, 40.
  43. M. Rostovtzeff, loc. cit. p. 182.
  44. British Museum, Dept of Assyrian Antiquities, n° 89816.
  45. Loc. cit., p. 181 f.
  46. Dept of Greek and Roman Antiquities.
  47. Loc. cit., p. 181.
  48. T. Sulimirski, “Kultura luzycka a Scytowie”, Wiadomosci Archeologizne, vol XVI, Varsovie, 1939-1948, p. 76-100. – Ibid., “Scythian Antiquities in Central Europe”, Antiquaries Journal, vol. XXV, 1945. P. 1-11. – Ibid., “Zagadnienie upadku kultury luzyckiej”, Slavia Antiqua, vol 1, Poznan, 1948, p. 152-156. – Ibid., Some Remarks on the Scythian Expansion in Europe about 500 a.C.. III° Congrès International des Sciences Anthropologiques, Bruxelles, 1948, résumés des Communications.
  49. Loc. cit., p. 174 ff., 186.
  50. Loc. cit., p. 213.
  51. M. Tolstoi e N. Kondakov, loc. cit., vol. III, fig. 84, 90, 91, 92, 97. – S. Reinech, “La Représentation du Galop dans l’Art Ancien et Moderne”, Revue Archéologique, 3a Série, vol. XXVII, 1900, p. 256, fig. 84, 85.
  52. A. H. Layard, A Popular Account of Discoveries at Nineveh. London, 1852, p. 222.
  53. M. Rostovtzeff, loc. cit. p. 185. – S.V. Kiselev, Drevniaia istoria iuznoi Sibiri. Moscou, 1951, 2a ed., p. 623. – W.Perceval Yetts, “The Horse: A Factor in Early Chinese History”, ESA, vol. IX, 1934, p. 231 ff., fig. 4.
  54. S.V. Kiselev, loc. cit., p. 627.
  55. S.V. Kiselev, loc. cit., p. 622 ff., pl. LVII, 1-4, LVII, 2,12.
  56. S. Reinach, loc. cit., vol. XXVI, 1900, p. 235, fig. 30; vol. XXXVII, 1901, p. 242, fig. 147, pl. VII.
  57. Kadar. “L’influence des pueples cavalier nomades sur la formation des représentations médiévales des centaures.” Acta Archeologica, vol. II/4. Budapest, 1952, p. 307-318.

Tratto da:

REVUE INTERNATIONALE D’HISTOIRE MILITAIRE
1952 – N° 12
GLI ARCIERI A CAVALLO, CAVALLERIA LEGGERA DEGLI ANTICHI
di T. Sulimirski
Professore all’Università di Cracovia, docente della Facoltà di Lettere dell’Università Polacca all’estero di Londra