Il
testo di Roger Ascham farà da guida a questa
comunicazione che cercherò di rendere meno
tecnica possibile. Nel book distribuito ai partecipanti
al Raduno trovate sia indicazioni che ci provengono
dai cronisti del passato, (Enguerrand di Monstrelet
e Plutarco) sia studi e lavori più specifici
sull'arco (Gad Rausing e, più modestamente,
Dario D'Alù e Marco Dubini).
La
conferenza sarà ricca di immagini, sia provenienti
dal passato, che dei giorni nostri.
Lo
scopo è quello di continuare e proseguire,
questa volta in modo più massiccio, un dibattito
iniziato l'anno scorso qui a San Secondo Parmense.
Non ho alcuna intenzione di imporre una tecnica, peraltro
difficilmente definibile in termini assoluti, a nessuno;
ciascuno continui a tirare come vuole. Propongo però
una riflessione nel merito del problema, riflessione
supportata (vedi i riferimenti bibliografici indicati
sotto) sia da studi specifici sull'argomento, non
necessariamente realizzati da arcieri, sia dalla pratica
mia e di alcuni di noi.
La
pratica mi ha insegnato che scoccare con precisione
con archi in legno di potenza superiore alle 50 libbre
costringe l'arciere ad usare la tecnica adatta, se
non vuole farsi male e se vuole colpire il bersaglio,
anche a distanze superiori ai 100 metri. Se alla tecnica
corretta si aggiunge l'esercizio (e questo a molti
di noi, me compreso, manca per i soliti motivi di
tempo) i risultati possono essere eccezionali. Va
comunque ricordato ancora una volta che nostro scopo
non è quello di vincere gare ma di fare ricostruzione
storica (e insieme a questa trasmettere conoscenza
e cultura) e quindi le tipologie e le abilità
di tiro devono essere finalizzate a questo tipo di
attività. I tiri a comando e i tiri a distanza,
ma non solo questi tipi di tiro, devono diventare
la nostra specialità e non dobbiamo mai smettere
di addestrarci ad effettuarli con sicurezza e precisione.
Sono tiri altamente spettacolari, che quasi nessun
arciere storico sa fare.
La
storia, di nuovo, e l'esperienza sul campo ci dicono
come fare.
E'
possibile, e noi possiamo farlo, trasmettere in questo
modo ad un pubblico sempre più numeroso, la
conoscenza della figura dell'arciere medievale che
sia la storia che l'immaginario collettivo identificano
come una delle figure chiave del periodo storico che
tanto ci appassiona.
San
Secondo Parmense (PR), 18 aprile 2004
PREFAZIONE
(Stefano Benini 1999):
Citato
da molti, letto da pochi, conosciuto da nessuno di
coloro che vivono in realtà geografiche non
anglofone, Roger Ascham ha tuttavia lasciato un segno
destinato a rimanere nei secoli indelebile: ogni volta
che una freccia alata solca i sordi rumori di questa
nostra avvelenata civiltà industriale, reca
con sé qualcosa di questo lontano e ieratico
poema, scritto con penne d'oca grigia quando la neve
danzava nei turbini di vento.
Il
Toxophilus è un'opera sorprendentemente attuale,
non solo sul piano tecnico dell'arte del tiro, ma
anche per le analisi e i contenuti filosofici ed umanistici
in essa esposti.
Nel
suo libro Ascham non spiega come costruirsi archi
e frecce poiché, come dice lui stesso, teme
di suscitare le ire delle corporazioni di arcai e
frecciai che vedrebbero in tal manuale una minaccia
al loro mestiere.
Ascham
venne alla luce nel 1515, all'epoca in cui l'arco
iniziava a sentire seriamente la competizione della
polvere da sparo; non tanto riguardo all'efficienza
(fino ad allora non vi era questione sul fatto che
l'arco fosse più potente come arma rispetto
ai primi goffi archibugi), ma per la novità
e il prestigio che faceva ottenere il dispiegamento
in bella mostra delle nuove e terrificanti produzioni
degli armaioli. Ma, fosse come si vuole, l'arco era,
nel bene o nel male, nelle prime fasi del suo permanente
e inesorabile declino quando Roger venne al mondo.
Toxophilus
deriva dal termine greco "Tòxon"
(arco) e "philòs" (amante), quindi,
"Colui che ama l'arco"; l'opera è
scritta in forma di dialogo tra il Toxophilus e il
Philologus (letteralmente colui che ama il discorso
o la parola), che sarebbe l'interlocutore che serva
ad Ascham per sviluppare il tema e che, secondo il
costume dell'epoca, rappresenta un amante dell'apprendimento
e della cultura, in questo caso la cultura arcieristica.
Nella
discussione il "Maestro" spiega all'allievo
il suo amore per l'arco. Sia come svago che come pratica
militare difensiva, ed espone le sue ragioni per tenere
l'arco a tale scopo, invece delle armi da fuoco portatili,
recentemente inventate e privilegiate.
Nella
seconda parte, che è il vero e proprio manuale
e trattato tecnico, l'autore dà istruzioni
pratiche sulle tecniche di tiro, il tutto sempre supportato
e sostenuto da citazioni erudite.
A
TUTTI I GENTILUOMINI E "YEOMEN" D'INGHILTERRA
ho
scritto questo piccolo trattato, nel quale, se non
ho potuto soddisfare qualcuno, confido che egli sia
almeno benevolo verso questa mia opera, perché
io sono (così suppongo) il primo ad aver scritto
qualcosa su quest'argomento
ed anche
perché, se avessi detto cose imprecise, sarei
contento che chiunque potesse correggermi. Oppure,
se avessi detto troppo poco, che qualcuno possa aggiungervi
del suo.
Il
mio intento è per il profitto ed il diletto
di ognuno, non vuole ferire o dispiacere ad alcuno,
non mirando ad altro scopo che quello che la gioventù
possa essere spronata al lavoro, l'onesto passatempo
e a virtù e, per quanto è mio potere,
sia allontanata dall'oziosità, dal gioco disonesto
e dal vizio: perciò solo ho lavorato a questo
libro, mostrando quanto adatto sia il tiro ad ogni
tipo d'uomo, quale onesto passatempo esso sia per
il corpo, la sua pratica non è di svilimento
nemmeno per i grandi uomini, e né troppo costosa
da sostenere per i poveri, non usandone in modo disonesto
per sopraffare i più deboli, ma usando degli
spazi aperti alla luce del giorno, come uomini dabbene,
in grado di correggere con la loro saggezza le colpe
di questo mondo imperfetto.
Alcuni
tiratori prendono in mano archi più forti di
quel che sono in grado di padroneggiare. Questo fa
sì che a volte essi tirino oltre il bersaglio,
altre volte troppo di lato e persino feriscano qualcuno
che sta a guardare. Altri che non hanno mai imparato
a tirare, e né tuttavia conoscono le buone
frecce e i buoni archi, si impegnano al loro meglio,
ma costoro comunemente tirano spostati da un lato
nel terreno, e gli arcieri esperti che li sfidano
saranno sia contenti di questo, che sempre pronti
ad approfittarne e scommettere con loro. Sarebbe meglio
per questi starsene seduti tranquilli piuttosto che
tirare.
Vi
sono altri, che hanno archi e frecce di qualità
assai buona ed una buona conoscenza del tiro, ma sono
stati addestrati così malamente da non riuscire
a tirare né con eleganza e nemmeno con precisione.
TOXOPHILUS,
IL PRIMO LIBRO DELLA SCUOLA DEL TIRO.
.del
fatto che nessuno abbia in precedenza scritto alcun
libro sul tiro, la colpa non deve essere data all'argomento
e se ne valesse o no la pena di scriverne, ma agli
uomini che furono negligenti al riguardo; questa fu
la causa, così suppongo. Gli uomini che praticarono
più assiduamente il tiro e che meglio lo conobbero,
non furono degli eruditi; quelli che invece furono
eruditi praticarono poco il tiro, ed ignorarono la
natura dell'argomento. Perciò ben pochi uomini
sarebbero stati capaci di scrivere su quest'argomento.
Il
poeta Claudio dice che la natura ci offre un primo
esempio del tiro grazie al porcospino, il quale lancia
i suoi aculei per colpire chiunque combatta con lui,
per cui gli uomini in seguito impararono ad imitarlo,
ed in ciò trovarono arco e frecce.
Plinio
riferisce questa seconda scoperta a Scitio, figlio
di Giove.
Migliori,
più nobili e numerosi scrittori fanno risalire
il tiro ad un più nobile inventore, come fanno
Platone, Callimaco e Galeno: da Apollo. Tuttavia molto
tempo prima di quei giorni noi leggiamo espressamente
del tiro nella Bibbia, ed anche, se dobbiamo credere
a Nicolas de Lyra, che Lamech uccise Caino con una
freccia.
Così
il tiro, per necessità usato ai tempi di Adamo,
per nobiltà riferito ad Apollo, non solo è
lodato in tutte le lingue e gli scritti, ma anche
tenuto in gran conto, nelle migliori nazioni in tempo
di guerra per la difesa delle loro terre e da ogni
sorta d'uomo in tempo di pace, sia per l'onestà
che è ad esso congiunta, che per il profitto
che ne deriva.
.le
peculiarità del tempo e le cure per la sopravvivenza
di ciascuno, sono i motivi per i quali così
pochi tirano, come puoi vedere in questa grande città
(Londra n.d.r.) dove, su mille uomini fisicamente
abili, a mala pena dieci praticano seriamente il tiro.
L'artiglieria, oggigiorno, si suddivide in due tipi
di arma: le bombarde e gli archi. Peter Nannius, uomo
erudito di Lovanio, rileva alcune scomodità
delle bombarde, come il costo altissimo, l'ingombranza
che ne ostacola il trasporto e, se queste son grandi,
la difficoltà di messa a livello, il pericolo
per coloro che vi operano vicino, la facilità
con cui chi si trova lontano riesce ad evitarne i
proiettili e, se queste son piccole, lo scarso timore
che incutono e lo scarso effetto. Ed inoltre tutte
le condizioni atmosferiche avverse ed il vento, che
ne ostacola non poco la funzionalità. Del tiro
con l'arco egli non riesce a provare alcun svantaggio.
I
nostri arcieri d'Inghilterra, quando venivano al corpo
a corpo, avevano sempre pronta, sia appesa alla schiena
che nelle mani del loro compagno d'arme, una mazza
ferrata o altra arma simile, per abbattere con quella
il nemico.
Gli
scozzesi hanno un proverbio che essi son soliti ripetere
nei loro discorsi e col quale riconoscono piena lode
agli inglesi per il loro tirare: "Ogni arciere
inglese porta ventiquattro scozzesi sotto la cintura".
Nota
di Stefano Benini: Il proverbio è
riferito all'abitudine degli arcieri inglesi di portare
il loro "mazzo" - sheaf - di 24 frecce infilato
sotto la cintura, ed al fatto che si vantassero -
spesso a ragione - che ad ogni freccia corrispondeva
la vita di un nemico).
Ascham,
quando parla dell'arcieria di guerra la classifica
sempre come "artiglieria", ed in effetti
il modo in cui gli arcieri venivano impiegati sia
per il "fuoco di sbarramento" che di "sfondamento",
la pongono in questa categoria militare. Non scordiamo
che ai tempi di Ascham erano ben freschi i ricordi
delle gesta dei "longbowmen" della Guerra
dei Cent'anni, dove i loro successi potevano a tutto
diritto costituire l'archetipo e l'apoteosi dell'arco
inteso come artiglieria.
.tu
vedi che il più forte degli uomini non esegue
sempre il più forte dei tiri, la qual cosa
prova che il tendere con forza non risiede tanto nella
forza dell'uomo, quanto nella pratica del tiro. Un
uomo forte ma non abituato al tiro, ha le braccia,
il torace, le spalle e le altre parti del corpo con
le quali dovrebbe tendere fortemente, l'una che ostacola
e ferma l'altra, come accade ad una dozzina di robusti
cavalli non avvezzi al carro, che si annullano e si
ostacolano l'un l'altro. Un uomo forte, non uso al
tiro, ironicamente può tendere e far volare
in pezzi molti buoni archi, come dei cavalli selvaggi
correndo d'impulso manderanno in pezzi molti robusti
carri. E così gli uomini forti, senza la pratica,
non posson far nulla nel tiro per nessuno scopo, né
in guerra né in pace; ma se accade loro di
tirare, scoccano tutt'al più una freccia o
due, quando invece un uomo debole ma allenato al tiro,
sarà di utilità per ogni tempo e scopo,
e scoccherà dieci frecce mentre l'altro ne
scocca quattro, e tenderà la corda fino al
punto d'ancoraggio ogni volta, tirando col miglior
profitto.
Di
nuovo, colui che non è avvezzo al tiro, sempre
più tenendo l'arco in modo sbilenco e sbatacchiando
al sua freccia, non guardando la corda al giusto tempo,
mette il suo arco sempre in pericolo di spezzarsi,
e allora farebbe meglio a starsene a casa. Inoltre
egli tirerà assai poche frecce, e anche quelle
in modo completamente sgraziato, alcune tese nemmeno
alla metà, alcune troppo alte e altre troppo
basse, né egli sarà capace di scoccare
al momento giusto e nemmeno di interrompere il tiro
quando è necessario, ma dovrà per forza
buttar fuori la freccia, e assai spesso con risultati
cattivi.
Filologo:
Ti concedo, Toxofilo, che l'allenamento al tiro fa
sì che un uomo tenda forti archi, per tirare
al meglio del profitto e per aver cura della propria
attrezzatura, che non è cosa trascurabile in
guerra. Credo tuttavia che il tiro che abitualmente
si pratica a casa, specialmente ai terrapieni con
affissi i bersagli in carta, non sia affatto di giovamento
per il tiro di potenza, che è il più
utile in guerra. Perciò, suppongo, se gli uomini
si abituassero ad andar sui campi, ed imparare ad
eseguir tiri forti e potenti, senza curarsi affatto
di qualsiasi bersaglio, essi ne avrebbero assai maggior
giovamento
Toxofilo:
La maggior pratica fa sì che un uomo tiri sia
forte che bene, che son le due cose che nel tiro ognuno
desidera. Così, organizzar gare, riunire insieme
gli arcieri, competere per veder chi tirerà
meglio vincendo il torneo, incrementa meravigliosamente
la pratica del tiro tra gli uomini.
Perciò
nel tiro, come in tutte le altre cose, non vi può
esser né quantità e nemmeno qualità
se queste tre cose - predisposizione, conoscenza e
pratica - non stanno insieme.
TOXOPHILUS,
IL SECONDO LIBRO DELLA SCUOLA DEL TIRO.
Fil:
quali sono gli strumenti?
Tox:
il parabraccio, il guanto da tiro, la corda, l'arco
e le frecce.
Fil:
cosa è comune a tutti gli uomini?
Tox:
le condizioni atmosferiche e il bersaglio, tuttavia
il bersaglio è sempre subordinato alle condizioni
atmosferiche.
Fil:
dove risiede il ben maneggiare gli strumenti?
Tox:
completamente all'interno dell'uomo stesso: alcune
operazioni sono tipiche degli strumenti, alcune delle
condizioni atmosferiche, alcune del bersaglio ed altre
stanno dentro l'uomo stesso.
Fil:
quali operazioni son tipiche degli strumenti?
Tox:
la posizione, l'incocco, la trazione, il mantenimento,
il rilascio, dai quali proviene il giusto tirare,
il quale non appartiene né al vento e nemmeno
alle condizioni atmosferiche, e nemmeno ancora al
bersaglio poiché sotto la pioggia e senza alcun
bersaglio un uomo potrebbe eseguire un tiro corretto.
Fil:
quali operazioni appartengono alle condizioni atmosferiche?
Tox:
la conoscenza del vento, a nostro favore, contro di
noi, di lato, pienamente laterale, vento laterale
di un quarto a favore, vento laterale di un quarto
a sfavore e così via.
Fil:
quali operazioni appartengono al bersaglio?
Tox:
fare attenzione alla propria posizione, tirare con
giusta parabola, tendere ogni volta allo stesso modo,
sganciare sempre allo stesso modo, considerare la
natura della visuale da colpire, sulle alture o negli
avvallamenti, nelle aperte pianure e nei posti ventilati,
e inoltre concentrarsi sul proprio bersaglio.
Fil:
e cosa è solamente all'interno dell'uomo stesso?
Tox:
il prestar buona attenzione, ed evitare ogni emotività.
Il che spesse volte significa la riuscita o il fallimento
di tutto.
Toxofilo:
l'imparar qualsiasi cosa, e specialmente l'eseguire
manualmente qualcosa, deve essere fatto, se qualcuno
vuole eccellervi, nella giovinezza. Colui che vuol
raggiungere quest'alta perfezione nel tiro, di cui
noi parliamo, deve necessariamente iniziare ad applicarvisi
in gioventù, e l'aver trascurato tale cosa
in Inghilterra ha fatto sì che vi fossero meno
tiratori, e che quelli che son tiratori tirino peggio
di come farebbero se fosse stato loro insegnato. Un
uomo, usando dapprima archi deboli, ben al di sotto
della sua forza, potrà essere reso malleabile
e pronto ad assimilare la giusta tecnica di tiro come
qualsiasi bambino, e la pratica quotidiana del tiro
lo manterrà nel corretto tirare e lo porterà
infine anche ad un tiro forte.
Il
miglior tirare è sempre il tirare più
elegante.
Il
giusto tirare deriva da queste cose: la posizione,
l'incocco, la trazione, il mantenimento e il rilascio,
i quali io passerò in rassegna brevemente.
I
difetti degli arcieri superano il numero degli arcieri
stessi, e ciò a causa del praticare il tiro
senza l'insegnamento. Tutti gli ostacoli che
le cattive abitudini hanno radicato negli arcieri,
non possono né esser velocemente estirpati
e né tuttavia esser da me rapidamente riconosciuti,
poiché essi sono innumerevoli.
Lo
sgancio (scocco), deve essere molto simile. Così
rapido e secco da esser privo di ogni intralcio; così
dolce e gentile da far volar la freccia non come se
fosse gettata fuori da una custodia. La via di mezzo
tra questi due estremi, che è lo sgancio perfetto,
non è così difficile da mettersi in
pratica come lo è da descriversi in un insegnamento.
Per il rilascio pulito, devi fare attenzione a non
strusciare contro qualsiasi cosa che tu abbia indosso.
Per la stessa ragione l'Imperatore Leone ordinava
a tutti i suoi arcieri in guerra di avere sia le teste
tosate che le barbe rasate, nel caso che i capelli
potessero coprir la visuale ed i peli delle loro barbe
potessero ostacolare il tragitto della corda.
A
colui che è in grado di tirare in modo corretto
non manca nient'altro che il tirare diritto e il mantener
la distanza.
Nota
di Stefano Benini. E' mia convinzione
che con tirar diritto e tenere la distanza Ascham
avesse già allora magistralmente e sinteticamente
codificato le due coordinate che, presupponendo una
tecnica di tiro corretta e costante, sono gli unici
due fattori che determinano il punto dove la freccia
avrà il suo impatto: per ottenere il centro
è necessario che il tiro sia perfettamente
in linea con la mezzeria del bersaglio (tirare diritto),
ma è altrettanto necessario che oltre a ciò
l'arciere dia il "giusto alzo", ossia calcoli
la giusta parabola da dare al tiro in relazione ad
ogni distanza, che è la seconda coordinata
vettoriale necessaria per ottenere il centro, senza
la quale il tiro sarebbe o troppo alto o troppo basso,
anche se centrale (tenere la distanza).
Il
peggior nemico del tiro è il vento e la stagione,
nei quali risiede la principale causa di ostacolo
al vero mantener la distanza. La miglior qualità
di un buon tiratore è il conoscer la natura
dei venti: a favore e contro, ed in tal modo egli
potrà tirare al suo bersaglio con maggior precisione.
I buoni tiratori, quando non è possibile colpire
il bersaglio, si impegneranno a colpirlo il più
vicino possibile. Un buon arciere imparerà
a conoscer la natura del vento, e con saggezza egli
valuterà nella sua mente di quanto egli dovrà
alterare il suo tiro, sia nell'alzo che nella centralità
di esso.
I
saggi arcieri hanno sempre strumenti adatti alla loro
forza, ed attendono il clima e la stagione che sian
favorevoli alla loro attrezzatura. Perciò se
il tempo è troppo brutto ed inadatto al tuo
tirare, lascia stare per quel giorno ed attendi che
la stagione migliori. Poiché è un folle
colui che non va dove la necessità lo conduce.
Del
(falso) scopo di mira non posso dir bene ciò
che dovrei dire. Poiché in uno strano modo
esso elimina ogni occasione di gioco sleale, la qual
cosa è tutto ciò che vi è di
lodevole in questo; tuttavia, a mio parere,
esso ostacola la conoscenza del tiro e rende gli uomini
più negligenti, il che è deprecabile.
Nota
di Stefano Benini. L'asse ottico, che
ad arco teso al punto d'ancoraggio al volto si trova
al di sopra della freccia, rende possibile notarne
la punta e collimarla con un punto di riferimento
al di sotto del bersaglio, noto anche come falso scopo,
o falso punto di mira. A riconferma dell'attualità
del pensiero di Ascham egli non lo ammette che in
casi eccezionali, e lo considera esattamente per ciò
che è: una rinuncia alle proprie facoltà
di percezione dello spazio e delle forze in gioco
che, unite alla pratica, sono le sole in grado di
produrre risultati perché frutto del nostro
intero essere e non di banali e spesso ingannevoli
sovrapposizioni ottiche.
Una
volta che la tua freccia è a posto, allora
devi impugnar il tuo arco esattamente nel mezzo, altrimenti
oltre a perdere il tuo giusto allungo di trazione,
metterai l'arco in pericolo di spezzarsi. L'incocco
avviene appena dopo, ed è assai della medesima
natura.
Nota
di Stefano Benini. Ascham non menziona
mai, nemmeno una volta, il punto d'incocco. Potrebbe
sembrare una lacuna, o una trascuratezza tecnica,
ma se vi riflettiamo con attenzione ci dovremmo porre
questa domanda: "in riferimento a che cosa
avrebbero dovuto segnare il punto dove incoccare la
freccia sulla corda dal momento che sull'arco non
vi era nessuna impugnatura e nemmeno alcuna traccia
del benché minimo appoggio per l'asta della
freccia?"
L'asta
poggiava direttamente sulla mano, che a sua volta
non aveva alcun riferimento sensibile su cui porsi
ma solo un piccolo segno sul fianco dell'arco, che
era anche il marchio del costruttore (vedi i reperti
della nave inglese Mary Rose, ora al Museo di Portsmouth).
Una mano serrata in prossimità di un approssimativo
centro dell'arco è in effetti un appoggio troppo
empirico per segnare un preciso punto d'incocco sulla
corda.
Quindi
tendi sempre allo stesso modo, sgancia sempre allo
stesso modo, mantenendo la tua mano sempre alla stessa
altezza per tenere la giusta parabola.
Il
far caso alla punta della freccia prima del rilascio
è il miglior ausilio che vi possa essere per
mantenere il giusto alzo di tiro; la qualcosa tuttavia
è d'intralcio al tirar in modo eccellente,
perché un uomo non può tirare in modo
perfettamente diritto se non guarda direttamente il
bersaglio. Ora, se tu fai caso diligentemente
alle condizioni atmosferiche, mantieni la tua posizione
in modo corretto, impugni e incocchi nel giusto mezzo,
tendi e scocchi in modo uniforme e costante e mantieni
la giusta parabola, non sbaglierai mai il tuo tiro
in lunghezza.
La
principale ragione per la quale gli uomini non riescono
a tirare diritto risiede nel fatto che essi guardano
l'asta della freccia; e questo errore accade
perché ad un uomo non viene insegnato a tirare
fin da quand'è giovane. Tener gli occhi
sempre sul proprio bersaglio è il solo modo
per tirare diritto.
L'eleganza
è il solo giudice del miglior modo di guardare
al bersaglio. L'occhio è la guida,
il sovrano ed il soccorritore di tutte le altre parti.
La mano, il piede e le altre membra, non osano far
nulla senza l'occhio, come è evidente nella
notte e negli oscuri anfratti. L'occhio è il
vero linguaggio col quale l'intelligenza e la ragione
parlano ad ogni parte del corpo, e l'intelligenza
non fa in tempo a ricevere un'informazione dall'occhio,
che ogni parte è pronta a seguirlo o addirittura
prevenirne il comando.
Il
piede, la mano e tutto il resto fanno affidamento
sull'occhio. Perciò un arciere può star
certo, imparando a guardare al bersaglio fin da giovane,
di tirare sempre diritto.
Per
imparare a smetterla di guardare all'asta, imparando
a guardare al bersaglio, può esser usato questo
metodo, che un buon tiratore una volta mi disse di
aver praticato. Si esca con l'arco di notte e si tiri
a due fonti di luce (torce o candele), ed ecco che
in tal modo si sarà obbligati a guardar sempre
al bersaglio e mai alla freccia: tale cosa, praticata
una volta o due, farà si che uno smetta di
guardar la freccia.
Per
quanto riguarda il tirar con la giusta parabola (su
ogni distanza), son certo che i precetti che ti ho
dato non ti inganneranno mai. Così che nulla
verrà mai a mancare, sia del colpir sempre
il bersaglio, oppure del giungervi molto vicino, salvo
che l'errore risieda solamente nell'intimo di te stesso,
il che può accadere in due modi. O nell'aver
poco ardire o coraggio, oppure nell'esser soggetto
tu stesso ad esser troppo guidato dalle passioni.
Se la mente d'un uomo gli viene a mancare, il corpo,
che è governato dalla mente, non potrà
mai fare il suo dovere. Se non fosse per la mancanza
di coraggio, gli uomini potrebbero eseguire molti
più virtuosismi di quanti ne compiono.
Tutte
le passioni, e in special modo la collera, feriscono
sia la mente che il corpo. La mente è cieca
in tal maniera, e se la mente è cieca non può
governare il corpo nel modo giusto.
Il
corpo, di sangue e di ossa come si suol dire, viene
sviato dal suo giusto corso e ragion della collera.
Per cui un uomo diviene privo della sua giusta forza
e non può perciò ben tirare.
Riferimenti
bibliografici:
- Ascham
Roger, Toxophilus. La scuola del tiro, Greentime
Spa, 1999
- Bartlett
Clive, Embleton Gerry, English longbowman 1330-1515,
Osprey Military, Warrior Series n. 11, 1995
- Hansard
George Agar, The Book of Archery, Henry G. Bohn,
London 1841
- Hardy
Robert, Longbow, storia civile e militare dei lunghi
archi, Palutan Editrice, 1992
- Morse
Edward S., Ancient and moder methods of arrow-release,
Bulletin of the Essex Institute, vol XVI. Oct-Dec.
1885
- Rausing
Gad, The bow, some notes on its origin and development,
Lund 1967, Berlingska Boktryckeriet