La
campagna del 1066, come ogni studente sa, segnò
un punto di svolta nella storia inglese. Come risultato
di una breve e sanguinosa battaglia combattuta su un
crinale nel Sussex (Hastings), l' Inghilterra anglo-sassone
cadde pressoché istantaneamente in possesso di
un, senza dubbio, piacevolmente sorpreso Guglielmo di
Normandia. Sotto la sua severa ed efficiente autorità,
i legami dell'Inghilterra con la Scandinavia furono
staccati e l'Inghilterra venne spinta ancora una volta
nel grande fiume della civiltà occidentale. Questo
episodio cruciale è avvolto nel mito ed ha affascinato
per generazioni sia gli studiosi che i dilettanti, ed
anche oggi, più di 900 anni dopo, l'argomento
dell'invasione normanna e la battaglia di Hastings provoca
un'intensa passione tra gli storici. Ciò è
probabilmente dovuto al fatto che ci sono così
tante domande senza risposta relative a questo periodo,
che le possibilità di teorizzare sono infinite,
e, quel che più conta, le posizioni spesso si
polarizzano a favore di una o due opposte scuole di
pensiero. Alcuni considerano l'arrivo dei Normanni come
una calamità; l'imposizione di un regime tirannico
e straniero su una cultura fiorente ed in espansione.
Altri vedono una vecchia e divisa società inglese
che viene "salvata dalla decadenza da un' infusione
di vivificante vigore normanno". La verità,
forse, sta in qualche luogo tra le due; ciò di
cui possiamo essere certi è che l'Inghilterra
del 1066 offriva una scintillante ricompensa a qualsiasi
sedicente invasore straniero. Vi era, secondo gli standard
dell'epoca, una società matura e stabile, con
un'economia sviluppata ed un patrimonio artistico e
culturale non secondo a nessuno nel mondo occidentale
del periodo. Quell'Inghilterra, comunque, sarebbe irriconoscibile
ad un visitatore proveniente dal XX secolo. Più
di un terzo del paese era ricoperto di foreste e terreni
paludosi, e dove il terreno era coltivato i campi aperti
si stendevano senza bordi. La popolazione totale era
meno di 1/2 milione, soprattutto sparsi in piccole ed
isolate comunità; i circa 15.000 abitanti di
Londra costituivano la più grande concentrazione
di persone dell'intero regno !
Ad
ovest il Vallo di Offa correva da sud da Rhuddan al
Wye e dal Wye al Canale di Bristol, a Chepstow, segnando
i confini con i britanni del Galles. Verso nord si
stendeva quella potente alleanza fra Irlandesi 'Scozzesi',
Gallesi di Strathclyde, inglesi Lothiani, Pitti e
Norvegesi, la quale includeva il nascente regno di
Scozia. I confini del nord erano cambiati molte volte
dal tempo in cui, nell'est, il grande Regno Inglese
di Northumbria si stendeva dall' Humber al Forth e
ad ovest gli scozzesi si erano spinti per la prima
volta a sud in Cumbria. Ma ora, per quasi un secolo,
una linea di confine concordata, anche se incompleta,
dal Tweed al Solway Firth, aveva tenuto separati i
sudditi del Regno d'Inghilterra dai loro vicini del
nord.
Il
modo di parlare, le abitudini ed anche l'aspetto fisico
degli abitanti dell' Inghilterra dell' XI secolo facevano
testimonianza delle diverse ondate di colonizzatori
che avevano fatto di questa la loro casa. Nel 1066,
il mescolarsi delle razze aveva appena avuto inizio;
Celti e gli Iuti, gli Angli ed i Danesi, Sassoni e
Norvegesi mantenevano ancora qualcosa delle loro diverse
identità popolari. Nelle contee del nord e
dell'est, per esempio, dove l'elemento vichingo e
anglo-sassone era più forte, si afferma che
la popolazione era di pelle più chiara e, in
media, due pollici più alta degli abitanti
ancora, in modo predominante, celtici del sud-ovest.
L'antica lingua inglese, con la sua grammatica flessa
e mancante dei barbarismi francesi e latini che stavano
per affluire con la successiva conquista normanna,
oggi sarebbe incomprensibile. Era imparentata con
il tedesco antico e con l'antico norvegese - il secondo
era la lingua originaria degli immigranti più
recenti, popolazione scandinava delle contee dell'Inghilterra
centrale del nord e dell'est - e vi era una tale enorme
varietà regionale di dialetti che alcuni inglesi
avrebbero capito i Frisino ed altri norvegesi meglio
di quanto si sarebbero capiti tra di loro !
Tentando
di ricostruire quello che accadde nel 1066, dobbiamo
abbandonare molte supposizioni dei giorni nostri.
Per cominciare, dobbiamo abbandonare qualsiasi concetto
moderno di nazionalismo. Quantunque un anglo che viveva
sulla costa del Northumberland ed un sassone dell'ovest
dell'Hampshire potrebbero essere d'accordo sull'essere
tutti e due 'Englisc', tali sentimenti comuni trovavano
poca espressione nella politica del tempo. Anzi, in
molti modi, nella metà dell' XI secolo l'Inghilterra
era meno unita che non quanto era stata ai tempi di
Alfredo il Grande.
Vero
è che l'uomo del primo medioevo percepiva il
mondo in un modo molto diverso da noi. Il suo comportamento
apparentemente irrazionale e spesso immorale rifletteva
una intensa consapevolezza del soprannaturale ed è,
forse in parte spiegata dalla durezza, dal disagio
e dal pericolo che comportava la vita di tutti i giorni.
Le condizioni dell' XI secolo non favorivano la persona
debole. Sia il nobile che il non nobile vivevano vicini
alla terra, con poca o nessuna protezione dai capricci
della natura e le allarmanti visite di carestie e
pestilenze. Il senso di insicurezza che ne risultava
si manifestava in forme estreme di pratiche religiose
e nella forte sopravvivenza della superstizione pagana.
Questi atteggiamenti spesso andavano di pari passo
con un doloroso realismo politico e con un cinico
disprezzo per la vita umana.
Re
Edoardo il Confessore morì, senza eredi diretti,
il 5 gennaio 1066 e quasi immediatamente il Witan,
o Grande Consiglio, scelse Aroldo Godwineson, Conte
del Wessex e per i dieci anni passati l'uomo più
potente d'Inghilterra, per prendere il suo posto.
Sebbene ad alcuni Aroldo sembrava essere la scelta
più ovvia, di fatto egli salì al trono
con difficoltà. Di origine danese e di umili
natali - suo nonno, Wolfnoth era un guerriero pirata
vichingo stabilitosi nel Sussex - non aveva una sola
goccia di sangue reale inglese nelle vene. Inoltre
ispirava lealtà solamente nella parte meridionale
del regno - nel suo Contea del Wessex ed in quelle
dei suoi fratelli Gyrth e Leofwine, i quali tra tutti
controllavano l'Anglia dell'est, il Surrey, l'Essex
ed il Kent.
I
signori delle contee dell'Inghilterra centrale e settentrionale,
Edwin di Mercia e suo fratello Morkere del Northumbria,
provenivano da una nobile casata per lungo tempo in
cattivi rapporti con i Godwines - quello dei Merciani,
Leofric - e costoro potrebbero aver provato un po'
di piacere da quest'ultima svolta degli eventi. Ben
consapevole di ciò, Aroldo, dopo solo poche
settimane passate sul trono, fece un viaggio al nord
per ottenere il consenso degli orgogliosi e fieramente
indipendenti Merciani e Northumbriani. Superò
questa manovra sposando, senza ulteriore fatica, la
sorella di Edwin e Morkere, Alditha.
Comunque,
il più grande pericolo per il nuovo sovrano
stava oltre i confini dell'Inghilterra. Due signori
stranieri, Araldo Sigurdsson, re della Norvegia e
il duca Guglielmo di Normandia studiarono l'incoronazione
di Aroldo con più che casuale interesse. Tutti
e due rivendicavano per se stessi il trono inglese.
La
minaccia più immediata stava arrivando da un
terrificante norvegese il cui soprannome 'Hardraada'
significava tiranno o hard-councel. Era considerato
il più grande guerriero di quei giorni, e racconti
delle sue imprese d'ampio respiro risuonavano in ogni
angolo del mondo allora conosciuto. Fino al tempo
di Edoardo il Confessore - ben presente nella memoria
di molti inglesi nel 1066 - l' Inghilterra era stata,
per quasi trent'anni, una parte dell'Impero Scandinavo
governato dai Danesi. Il pretesto definitivo di Hardraada
per far rinascere le speranze di un'altra conquista
del paese da parte dei norvegesi, era la rivendicazione
del trono d'Inghilterra che il suo predecessore, Magnus
di Norvegia, aveva ricevuto in promessa, nel 1042,
dall' ultimo dei re anglo-danesi, Harthacnut. Forse
Hardraada credeva anche che tra i molti inglesi che
vivevano nelle contee dell' Inghilterra centrale del
nord e dell'est, che erano di ceppo scandinavo, ci
sarebbero stati quelli che avrebbero potuto preferire
essere governati da un norvegese piuttosto che da
un mezzo sassone del sud.
Guglielmo
di Normandia, come Araldo Sigurdsson, era una vecchia
volpe ed era ben stagionato. Duro, spietato e con
una volontà di ferro, aveva dovuto superare
lo svantaggio di essere nato illegittimo - per la
maggior parte della sua carriera era conosciuto come
Guglielmo il Bastardo - e superare un lungo periodo
potere minoritario durante il quale la sua vita era
in costante pericolo. Le attività delle fazioni
interne e di quelle esterne mantennero la Normandia
in uno stato di anarchia politica per anni e Guglielmo
aveva dovuto combattere duramente e continuamente
per mantenere il controllo del trono e preservare
l'indipendenza Normanna. Il turbolento ducato che
egli controllava si era sviluppato da una piccola
colonia vichinga fondata, solo un secolo e mezzo prima,
da un razziatore scandinavo, Rollo. I discendenti
degli scandinavi guidati da Rollo formavano ora una
vigorosa minoranza dominante che, sebbene adottasse
la lingua, la religione e la cultura della Francia,
conservava qualcosa della propria eredità vichinga
ed il suo fiero amore per la lotta e la battaglia.
La
rivendicazione del trono inglese da parte di Guglielmo
aveva appena un po' più di fondamento che non
quella di Hardraada. Egli era cugino di primo grado
del notoriamente pro-normanno Edoardo il Confessore,
il quale, si diceva, promise a Guglielmo la successione
sin dal 1051. Le uniche fonti che abbiamo relativamente
a questa vicenda, comunque, sono normanne e anche
se tutto ciò era vero, Edoardo non aveva alcun
diritto di promettere il trono ad alcuno !Un'altra
diceria che è frequentemente esibita, ma della
quale non vi è prova attendibile, è
quella che vede Aroldo, durante la presunta visita
in Normandia nel 1064, prestare giuramento su una
sacra reliquia affinché il trono d'Inghilterra
venisse riservato a Guglielmo alla morte di Edoardo.
Questo cruciale avvenimento è graficamente
illustrato nel famoso arazzo di Bayeux, un "racconto
a fumetti" senza prezzo che racconta la storia
della conquista normanna, commissionata, si pensa,
dal fratellastro di Guglielmo, Odo, vescovo di Bayeux.
Come opera d'arte, questo panno ricamato è
meraviglioso; come illustrazione dell'arte della guerra
dell' XI secolo è senza rivali. Come singola
manifestazione di storia effettiva, è assai
sospetto. Il messaggio che trasmette è solamente
che Guglielmo era il legittimo erede al trono di Edoardo
e che quindi aveva ogni diritto di invadere l'Inghilterra
e destituire l'usurpatore, Godwineson.
La
vicenda del giuramento infranto di Aroldo - se vera
o falsa - costituisce una base sulla quale il duca
normanno costruì l'incidente per giustificare
l'invasione dell'Inghilterra. Ciò certamente
rafforzò la sua causa a Roma e condusse ad
un'alleanza non sacra con il Papa Alessandro III.
In cambio della promessa di portare la Chiesa inglese,
un poco errante, all'interno della Chiesa Cattolica,
il Papa usò la sua influenza per trasformare
un atto con propositi di aggressione in una crociata.
Egli diede la sua benedizione all'esercito invasore
ed i Normanni con i loro alleati avrebbero marciato
verso la battaglia sotto la protezione spirituale
della bandiera papale.
Il
re d'Inghilterra appena eletto, il quale avrebbe dovuto
presto fronteggiare questi due risoluti concorrenti
alla sua corona era, come loro, un soldato esperto
ed un condottiero di uomini impetuoso e pieno di slancio.
E' difficile non percepire una forte affinità
con Aroldo, l'ultimo dei re anglo-sassoni. Noi abbiamo
la tendenza a vederlo sempre nel suo momento decisivo
e più bello; una figura tragicamente sfortunata
che combatte eroicamente contro schiaccianti differenze
in difesa del suo regno ed alla fine trova una morte
da guerriero a Hastings. Questa immagine tende ad
oscurare qualche cosa del suo carattere. Sebbene Aroldo
probabilmente era meno esagerato di quanto lo fossero
la maggior parte dei condottieri politici e militari
suoi contemporanei e quantunque, sia durante il suo
breve regno pieno di guai che prima, come sotto-re
di Edoardo egli genuinamente mirava a tenere unito
ed in pace il paese, era allo stesso tempo ambizioso
e spietato con coloro che gli si opponevano. Come
suo padre prima di lui, lo straordinario, fattosi
da sé Conte di Godwine, il quale complottò
e tramò per anni con lo scopo di far divenire
la sua famiglia dominante nel paese, Aroldo combattè
e si ingegnò per il potere personale, e sebbene
si possa dimostrare che vi fossero circostanze attenuanti,
la conquista della corona nel 1066 fu in effetti un
colpo di stato. Vi è qualche testimonianza
che il Witan frettolosamente convocato e che lo elesse,
fosse composto quasi interamente dai propri seguaci!
La
lotta contro Aroldo venne cominciata non da Hardraada
o da Guglielmo, ma dal fratello più giovane
di Aroldo, Tostig. Quest'uomo, fastidioso crudele
e vendicativo, era stato bandito dalla contea del
Northumbria l'anno prima. Nell'ottobre del 1065 gli
abitanti del Northumbria, accusando Tostig allora
assente di oppressione ed assassinio, erano insorti,
massacrando i seguaci del conte ed eleggendo Markere
al suo posto. Raggiunti dai predoni gallesi e dai
Merci provenienti da Derby, Notthingham e Lincoln
sotto il comando del conte Edwin, gli uomini del Northumbria
marciarono verso sud. Edoardo, per allontanare la
guerra civile, inviò Aroldo a parlamentare
con i ribelli. Egli docilmente cedette alle loro richieste,
acconsentendo a bandire il fratello ed a confermare
Morkere come Conte del Northumbria. Tostig non lo
dimenticò mai; fuggì nelle Fiandre,
alla corte del conte Baldwin, suo cognato, deciso
alla vendetta. Nel maggio 1066 salpò dalla
costa francese con una piccola flotta che comprendeva
i suoi seguaci e mercenari fiamminghi e normanni reclutati
con la probabile connivenza dello stesso Guglielmo.
Nel corso delle settimane successive, Tostig colpì
le aree costiere meridionali dell'Inghilterra con
una serie di brevi attacchi e colpi cattivi. Al principio
ebbe qualche successo: invase l'isola di Wight, occupò
brevemente Sandwiche fu anche aiutato in un certo
momento da pirati norvegesi che partivano dalle Isole
Orcadi. Alla fine, comunque, i razziatori che ormai
avevano incominciato a saccheggiare le coste della
Mercia e del Northumbria, vennero sorpresi e sconfitti
dalla milizia di Linsey, sotto il comando di Edwin.
Con la flotta ridotta da 60 a 12 navi, Tostig fuggì
verso nord per trovar rifugio dal suo fratello carnale,
Malcom di Scozia. Egli, comunque, non era ancora finito.
Aroldo
sapeva che le scorrerie di Tostig erano semplicemente
i preliminari della più seria minaccia proveniente
dalla Normandia; durante la prima parte dell'estate
tutte le risorse militari dell'Inghilterra meridionale
vennero gradualmente mobilitate. La milizia venne
richiamata per occupare le posizioni chiave lungo
la costa e 'la più grande flotta mai radunata
da un re inglese' venne ormeggiata lungo la Manica,
pronta all'azione. In settembre, senza ancora alcun
segno dell'armata Normanna, la tensione di mantenere
le navi, gli equipaggi ed i soldati in permanente
allarme - un fatto senza precedenti ai tempi degli
anglo-sassoni - cominciava a pesare. La maggior parte
degli uomini della milizia era rimasta senza viveri
e senza paga. (Il loro periodo di 60 giorni di servizio
stava quasi per terminare e a casa avevano disperato
bisogno di loro per effettuare il raccolto ormai maturo
per la vicinanza dell'inverno.) Aroldo non aveva scelta
se non quella di congedare le truppe e rimandare la
flotta a Londra. vennero perdute molte navi durante
una tempesta nel corso del viaggio di ritorno; la
Manica venne lasciata praticamente senza difese. Guglielmo
aveva solo bisogno di vento favorevole per avvantaggiarsi
di questo improvviso crollo del sistema difensivo
inglese.
A
questo punto, con Aroldo preoccupato per la minaccia
proveniente da sud, irruppe su di lui la notizia che
Araldo Hardraada di Norvegia, con un'immensa flotta
era sbarcato a Ricall, nello Yorkshire. Tostig si
era procurato un altro alleato. Aroldo e le sue truppe
partirono immediatamente verso nord. La breve, impetuosa
campagna che seguì doveva culminare nella grande
battaglia di Stamfordbridge, una vittoria inglese
così totale che avrebbe posto fine a due secoli
di conflitto anglo-scandinavo.
Le
illustrazioni a colori forniscono descrizioni esclusivamente
congetturali dei tre principali protagonisti della
nostra storia così come sarebbero potuti apparire
durante quei giorni drammatici dell'autunno del 1066.
Hardraada era, a 51 anni, ben superato la sua primavera,
ma doveva ancora essere uno spettacolo indimenticabile.
Era un uomo gigantesco dai capelli chiarissimi, alto
oltre sette piedi, e si diceva che un sopracciglio
fosse permanentemente più alto dell'altro.
Secondo la tradizione, il re norvegese indossava un
elmetto decorato ed un mantello blu; la sua cotta
da battaglia corazzata - che egli, ancora secondo
la tradizione, teneva da parte prima del combattimento
di Stamfordbridge - era di lunghezza insolita, arrivando
fino alla parte più bassa della gamba. Quando
l'indossava, i suoi soldati lo chiamavano, dietro
le spalle, 'Emma', a causa delle estremità
così lunghe. Hardraada, ci è stato detto,
venne a sapere ciò e semplicemente trasferì
il soprannome alla sua armatura.
Il
vessillo personale di Hardraada era il famoso 'Landravager'.
Questa enorme stendardo da battaglia era presumibilmente
di seta bianca e blasonato al centro con un corvo
nero con le ali spiegate: l'uccello di Odino.
Il
Duca Guglielmo aveva 32 anni; era il più giovane
del terzetto. E' descritto con una capigliatura rosso
bruna ed estremamente ben piantato. Era alto probabilmente
5 piedi e 10 pollici (sua moglie Matilda, casualmente
era, in confronto, simile ad una nana; era alta 4
piedi e 2 pollici!). Guglielmo viene qui mostrato
a cavallo di uno dei suoi famosi due stalloni neri
andalusi - un regalo del re di Spagna - i quali erano
entrambi certamente più grandi dei cavalli
normalmente usati in battaglia in quel periodo. Viene
anche mostrato lo stendardo papale, simbolo dell'approvazione
romana all'avventura del duca normanno.
Aroldo
aveva 44 anni nel 1066. Era forse un po' più
piccolo di Guglielmo ma si racconta che possedesse
una forza non comune ed eccellenti capacità
di resistenza. E' interessante notare che le monete
che ritraggono l'immagine di Aroldo e quelle che ritraggono
Guglielmo mostrano entrambe uomini che portano la
barba. L'arazzo di Bayeux, comunque, ritrae Guglielmo
completamente sbarbato e Aroldo mette in mostra solo
i baffi.
Si
è pensato che Aroldo avesse portato in battaglia
due bandiere. La prima era lo stendardo reale del
Wessex, un dragone d'oro su uno sfondo rosso o porpora;
la seconda era il suo vessillo personale, conosciuto
come 'L'uomo che combatte'. La leggenda racconta che
questo era stato 'intessuto con fili dell'oro più
puro' dalla madre di Aroldo, Gytha, e che l'elmetto,
la maglia di ferro e le armi erano decorate con scintillanti
gemme.
La
mappa si propone di dare un'idea di come probabilmente
appariva l'Inghilterra nel 1066. Vengono indicate
le foreste principali e viene indicata la linea costiera
piuttosto varia. Dove è possibile i nomi dei
luoghi sono riportati nell'ortografia dell'inglese
antico.
II
Qualsiasi
discussione riguardante l'abbigliamento, l'equipaggiamento
e l'armamento dei diversi eserciti che combatterono
nello Yorkshire e nel Sussex durante l'autunno del
1066, deve essere alquanto speculativa. Le numerose
lacune nella nostra conoscenza ci impediscono di costruire
un'illustrazione completa e rende impossibile essere
troppo precisi. E' sempre allettante, ma pericoloso,
effettuare ampie generalizzazioni basate su sparse
evidenze archeologiche e sorgono problemi di interpretazione
dalle altre più importanti fonti di informazione,
cioè le illustrazioni del tempo e le descrizioni.
Disegni e sculture di guerrieri provenienti da quel
periodo sono quasi sempre così stilizzate che
spesso è un problema aperto definire esattamente
quale tipo di armatura o di indumento viene rappresentato;
questo è certamente il caso riguardante la
nostra principale registrazione visiva della campagna
di Hastings, l'arazzo di Bayeux. Per queste ragioni
qualsiasi ricostruzione, anche quelle qui mostrate,
devono essere considerate largamente congetturali.
La forma più diffusa di elmo - portato del
pari dai norvegesi, dagli inglesi e dai normanni -
era un elmetto conico di ferro od acciaio, di solito
fornito di un nasale o paranaso. Era di solito composto,
o da quattro o più pezzi di metallo triangolari
fissati su un anello e che si riuniscono alla sommità,
o fatto di un sol pezzo e con aggiunto un cerchio
munito di una barra per il viso. Il nasale era spesso
così largo che la maggior parte della faccia
era nascosta. A volte gli elmetti erano assicurati
con lacci ed alcuni avevano para-colli e proteggi-orecchie
aggiunti.
La
forma più comune di indumento protettivo era
tessuto imbottito sia di lino che di panno o cuoio,
rinforzato con anello o piastre di metallo. A causa
della natura complicata della sua fabbricazione, i
tessuti a catena di maglia di ferro rivestiti di anelli
di ferro allacciati, sebbene molto più in evidenza
che non in tempi precedenti, erano ancora tendenzialmente
riservati ai soldati ricchi, esperti e meglio equipaggiati.
La giacca da guerra tradizionale del guerriero anglo-sassone
e vichingo era il 'byrnie' o 'corsaletto di anelli
intrecciati'. Spesso di maglia di ferro, il corto
abito con le maniche raramente arrivava oltre la mezza
coscia. Sempre più, comunque, un camice corazzato
e lungo fino al ginocchio conosciuto come 'usbergo',
stava per venire in uso. Aveva le maniche lunghe tre
quarti e normalmente un cappuccio, a volte di maglia
di ferro, a volte di cuoio o panno. L'usbergo doveva
essere molto scomodo da indossare poiché tutto
il peso era sopportato dalle spalle; era spesso, probabilmente,
imbottito. Erano necessari indumenti intimi per proteggere
la pelle dagli effetti di sfregamento dei pesanti
anelli di ferro. Le illustrazioni di guerrieri del
tempo che indossano l'usbergo, spesso mostrano un
contorno sul torace. E' possibile che indichi sia
un qualche tipo di pettorale rinforzato o il lembo
che chiudeva l'apertura del collo. Le difese delle
gambe erano, ancora una volta, solo per i ricchi.
La calzamaglia di ferro era indossata da pochi; i
soldati comuni dovevano fabbricarla con bende di lino
o cuoio simili a fasce, che a volte venivano guarnite
con borchie di metallo.
Un'arma
di difesa supplementare era, naturalmente, lo scudo,
che raggiunse una grande varietà di forme e
dimensioni a partire dall'antico tipo rotondo, ancora
preferito dai vichinghi e da molti inglesi, fino all'ampio
scudo a forma di aquilone usato dai normanni a cavallo
ed in particolare dalle truppe inglesi al servizio
del sovrano. Alcuni scudi erano costruiti con ferro,
ma la maggior parte erano fatti con legno e ricoperti
con cuoio indurito, probabilmente rinforzato con liste
d'acciaio. Alcuni erano piatti, altri curvi. Sul retro
di molti di quelli di tipo circolare vi era una sbarra
che veniva stretta da chi lo usava; al centro era
intagliato un foro per ospitare il pugno chiuso. Una
cupola in rilievo, la borchia dello scudo, era adattata
sopra il buco con lo scopo di proteggere la mano ed
agiva anche come una specie di 'pugno di ferro', quando
era necessario. Spesso veniva aggiunta una cinghia
in più per il braccio. Con l'ampio scudo a
forma di aquilone, l'avambraccio sinistro passava,
attraverso un dispositivo di cinghie sulla parte posteriore,
all'impugnatura. Una cinghia più lunga - che
i normanni chiamavano 'guige' - passava intorno al
collo sopra la spalla destra e sosteneva lo scudo
quando non veniva usato, sottraendo alla mano sinistra,
durante l'azione, parte del suo peso. L'arazzo di
Bayeux mostra questo tipo di scudo decorato con puntini,
croci, creature mitiche ed altri emblemi, ma anche
se accettiamo che l'arazzo sia una rappresentazione
fedele piuttosto che un'invenzione fantasiosa, non
vi è prova che questi segni fossero parte di
un codice araldico formalizzato. Questo sarebbe arrivato
più tardi.
La
spada tipo del periodo era un'arma a doppio taglio
e con la lama diritta, lunga circa tre piedi, leggermente
assottigliata verso la punta. La spade vichinghe,
inglesi e normanne erano quasi identiche; erano tutte,
fondamentalmente, armi per fendere, sebbene i normanni
tendessero sempre più ad usare la punta in
battaglia. Una scanalatura poco profonda, chiamata
'fuller' percorre quasi tutta l'intera lunghezza della
lama, su entrambe i lati, alleggerendo quindi la lama
senza indebolirla. L'impugnatura era di solito composta
da due strisce di legno strettamente legate ad entrambe
i lati del 'tang' (codolo); per bilanciare il peso
della lama ed assicurare una facile maneggio, veniva
aggiunto un pesante 'Pommel' (pomo). Il guardamano
a croce era di solito di disegno semplice, sia diritto
che lievemente curvato - le spade normanne tendevano
ad avere guardamani più lunghi e più
diritti - ma la forma del pomello variava in modo
considerevole. Il fodero della spada, costruito con
assi di legno ricoperte di cuoio ed incastonato con
ferro, era appeso alla cintura portata larga o alla
tracolla. Questi equipaggiamenti erano spesso indossati
al di sotto dell'usbergo; veniva praticata una fessura
nell'armatura per permettere di estrarre la spada.
Il
seax - una spada più piccola, simile ad un
pugnale, con un solo bordo tagliente - era anch'essa
diffusa, specialmente tra gli inglesi ed i vichinghi.
Le
lance, usate sia per essere lanciate che per trafiggere,
erano comuni a tutti gli eserciti. Le aste erano solitamente
di legno di frassino, lunghe circa sette piedi; le
punte di ferro, dotate di cavità, erano diverse.
I giavellotti avevano una punta piccola e leggera,
le lance per colpire avevano una punta larga, spesso
a forma di foglia; a volte era dentata per evitare
una penetrazione troppo profonda. La bandierina sulla
lancia del cavaliere normanno serviva allo stesso
scopo.
La
temuta ascia a due mani, preferita sia dai fanti norvegesi
che da quelli inglesi, - ma non, evidentemente, dai
normanni - aveva la parte superiore a forma di cuneo
con un bordo curvo della lunghezza di un piede, montata
su un manico lungo cinque o sei piedi. A volte le
cime delle asce erano decorate. L'arma di norma era
impugnata con la mano sinistra per poter colpire il
fianco destro dell'avversario non protetto. Anche
le asce più piccole, alcune delle quali erano
usate come armi da lancio, venivano largamente impiegate.
Le
mazze ed i randelli, semplici ma letali, erano armi
ugualmente ben conosciute sia dalle truppe a cavallo
che dai fanti. Tra il contadiname meno ben equipaggiato
- come la milizia inglese - una molteplicità
di armi semplici, fatte in casa, come l'antiquata
frombola, per esempio, che era la veterana, stava
al fianco di spade preparate in fretta, pugnali ed
attrezzi d'uso giornaliero per i lavori agricoli,
come la roncola. Per la verità, molte armi
della fanteria che sarebbe venuta dopo, si sarebbero
sviluppate a partire dagli antichi forconi, dai correggiati,
dalle vanghe, dai martelli, e dagli attrezzi per la
manutenzione delle siepi che quasi certamente entrarono
in azione durante questa campagna.
L'esercito
comandato da Araldo Hardraada e da Tostig Godwineson
era una forza poliglotta che comprendeva norvegesi,
islandesi, fiamminghi, scoti ed anche inglesi. Il
reparto più numeroso e probabilmente più
coeso era composto proprio dai norvegesi di Hardraada
- guerrieri temuti in tutta Europa per la loro ferocia
e per la loro forza. Nonostante l'immagine in voga
relativa ai norvegesi, in base alla quale indossavano
l'inevitabile elmo alato o cornuto, in generale si
pensa che tali attrezzi non facessero mai parte del
loro solito equipaggiamento. Sicuramente vi sono nell'arte
nordica rappresentazioni di uomini che portano elmetti
con le corna, ma probabilmente come emblemi di potere
religioso. Tradizionalmente i capi vichinghi avevano
portato elmi con visiera ed a causa dell'alto costo
delle armi e delle armature, queste spesso venivano
trasmesse di generazione in generazione; è
quindi possibile che questo tipo di elmo, piuttosto
antiquato, fosse ancora portato da alcuni guerrieri.
Il
giorno nel quale ebbe luogo il combattimento a Stamfordbridge,
faceva molto caldo; le truppe di Hardraada non pensavano
in ogni caso di dover combattere una battaglia; molti
si erano lasciati dietro l'armatura. La figura centrale
rappresenta uno di questi uomini; il suo equipaggiamento
militare era ridotto a spada, ascia, scudo ed elmetto.
Quest'ultimo è in realtà un copricapo
di cuoio rinforzato con ferro, evidentemente un'alternativa
abbastanza comune all'elmo completamente metallico.
La
terza illustrazione, un lanciere della forza militare
di Tostig, è forse un fiammingo. Come i soldati
precedenti, è solo leggermente corazzato. Il
corto giustacuore di cuoio che indossa è rafforzato
con anelli di metallo e l'elmetto è del tipo
conico semplice. La lancia è del modello semplice,
ma vi è una teoria interessante che suggerisce
che, forse, l'elemento fiammingo a Stamfordbridge
fosse armato con lunghe picche; il che, se questo
è corretto, avrebbe fatto di questo scontro
il primo esempio conosciuto di uso di quest'arma nelle
guerre europee.
L'esercito
inglese del 1066, era una forza composita, comprendente
tre sezioni principali. Il centro era formato dai
reparti al servizio del sovrano o 'hiredmen' del re
(uomini presi a servizio n.d.t.) e dai suoi comandanti
conti, conosciuti come 'huscarles'. Questa forza d'élite,
composta da soldati professionisti pagati - forte
di più di 3000 uomini - sembra sia stata costituita
intorno al 1018 dal re danese d'Inghilterra Cnut,
e che si rifaceva alla 'jomsviking'' di suo nonno,
Aroldo Bluetooth. I reparti degli huscarles erano
principalmente composti da anglo-danesi pesantemente
armati, perfettamente addestrati e superbamente disciplinati.
Erano i migliori fanti dell'Europa del tempo ed anche
i fieri norvegesi di Hardraada li tenevano in grande
considerazione. L'huscarl, porta il normale e tipico
equipaggiamento comprendente un'ascia 'danese' a due
mani. Indossa un usbergo piatto; l'elmo conico ha
un protegginaso ed un proteggi-collo di cuoio.
Il
principale corpo di battaglia dell'antico esercito
inglese era il 'select fyrd' dei signori della milizia
territoriale, composto dagli uomini liberi (proprietari
terrieri, thani e ceorls) che dovevano prestare servizio
militare a favore della corona a causa del loro stato
sociale. Ogni contea, in Inghilterra, era suddivisa
in 'hides' , un'area che variava da regione a regione
e poteva misurare dai quaranta ai cento venti acri.
Si esigeva che ogni gruppo di cinque hide di terra
fornisse un guerriero completamente armato ed addestrato.
I thani avrebbero dovuto prestare servizio di persona,
ma se la terra in questione era posseduta da più
di un uomo, allora questi di solito si accordavano
per scegliere ed addestrare uno di loro, dandogli
anche sostegno e salario per due mesi di servizio
attivo. L'uomo membro del 'fyrd'' indossa l'elmo d'ordinanza
ed il byrnie - in questo caso una giacca 'trellice'
di cuoio rinforzata con metallo - ed è ben
armato con spada, lancia, pugnale ed un piccolo scudo
rotondo con fibbia.
Infine,
vi era il grande 'fyrd' - truppe di leva della milizia
ammassate dalle contee, usate principalmente per attività
locale e difensiva. Queste truppe - uomini di città,
uomini senza terra e contadini per i quali il servizio
militare era un obbligo personale - erano di sovente
messe in congedo poiché erano poco più
di una plebaglia mal disciplinata; vi è comunque
prova a supporto della credenza che, in qualche misura,
la milizia dell'antico esercito inglese del primo
periodo fosse in un certo senso un corpo selezionato,
o per lo meno alcuni dei suoi membri avevano ricevuto
armi adeguate ed adeguato addestramento. Può
ben essere, in effetti, che questi inglesi ad Hastings,
ritratti sull'arazzo di Bayeux armati solo con mazze
e pietre, attaccati ai bastoni, sono contadini locali
del Sussex che tentavano di vendicarsi degli invasori
normanni, piuttosto che membri dell'esercito nazionale
di tutta la nazione anglosassone (fyrd n.d.t.) normalmente
reclutati. L'equipaggiamento del campagnolo armato
consta di un semplice copricapo a forma di berretto
frigio al posto di un elmetto, è in possesso
di un byrnie di cuoio robusto e di un piccolo scudo
a forma di aquilone, costruito con legno di cedro.
Come
l'esercito di Hardraada, le truppe del duca Guglielmo,
sebbene per lo più parlassero francese, era
di composizione multinazionale. La leva militare feudale
di questo contingente, fortemente disciplinata, era
appoggiata da volontari e mercenari dal Maine, Piccardia,
Fiandre, Bretagna, Anjiou, Borgogna, Poitou e dei
territori normanni dell'Italia del sud. In assenza
di testimonianze del contrario, è possibile
presupporre con una qualche prudenza che vi fosse
una piccola differenza nell'aspetto generale tra le
truppe normanne ed i loro alleati. Sicuramente, i
soldati francesi e bretoni ritratti sull'arazzo di
Bayeux, erano armati e vestiti esattamente come gli
uomini di Guglielmo.
I
corpi d'élite dell'esercito di Guglielmo erano
composti dalla sua cavalleria. Il cavaliere medio
normanno e quello alleato indossava il tipo di armatura
già descritta e combatteva con la lancia, la
spada o la mazza. E' un pomo della discordia tra gli
studiosi se l'usbergo indossato da questi uomini fosse
nei fatti una camicia tagliata longitudinalmente dal
ginocchio all'inforcatura del corpo, là dove
cominciano le cosce, oppure la metà più
bassa del capo di vestiario composto dai gambali.
I guerrieri stilizzati sull'arazzo di Bayeux certamente
sembrano indossare quest'ultimo.
Comunque
si è fatto notare che sarebbe stato estremamente
scomodo cavalcare con parti in metallo a contatto
con le parti interne della coscia, così, forse,
la risposta è, o il taglio dell'usbergo, oppure
può essere che se venivano indossati gambali,
le parti a contatto con il cavallo non erano corazzate.
Il
cavallo da guerra caratteristico di quel periodo era
probabilmente molto piccolo; assomigliava nell'aspetto
a un Clydesdale e non doveva essere più alto
di un cob gallese (cavallo piccolo e robusto n.d.t.)!
La sella era costruita in modo tale da evitare che
il cavaliere perdesse l'equilibrio all'indietro; cavalcava
con le gambe diritte, in altre parole quasi ritto
sulle staffe. Tenendo ferma la lancia sotto il braccio
poteva così aggiungere il suo peso e l'impeto
della sua cavalcatura alla forza del colpo che decideva
di vibrare. Comunque - e di nuovo l'intera questione
del ruolo svolto dalla cavalleria nel corso di questa
campagna è tuttora un altro oggetto di controversia
tra gli storici - sembra probabile che, di regola,
l'uomo a cavallo dell' XI secolo usava la lancia come
un giavellotto. I giorni delle cariche a ranghi stretti
della cavalleria, corazzata e con le pesanti lance
in resta, erano ancora lontani.
La
fanteria di Guglielmo comprendeva armigeri e arcieri.
Il soldato qui mostrato è vestito ed equipaggiato
come il suo compagno a cavallo. Il suo usbergo imbottito
è dotato di gambali e di cappuccio pezzi di
cuoio aggiunti ad una parte del copricapo per far
si che l'elmo fosse più comodo.
Con
un'eccezione, gli arcieri normanni mostrati dall'arazzo
di Bayeux non sono protetti da armatura. Alcuni possono
aver indossato giustacuori di cuoio, ma i più
sembra che abbiano combattuto indossando i vestiti
di ogni giorno - una semplice tunica (possibilmente
con gambali) e calzamaglia. Molti sono a capo scoperto
ma altri portano, come qui, un piccolo copricapo.
Vi era la tendenza, nelle maggior parte degli eserciti,
a reclutare gli arcieri fra i contadini più
umili e questa mancanza di indumenti protettivi doveva
essere stata normale.
Il
tipo di arco più comune sembra essere stato
abbastanza corto (lungo dai tre ai quattro piedi),
tirato al petto, con la portata massima di 150 iarde.
Le frecce munite di punta d'acciaio venivano portate
in una faretra con l'estremità aperta ed appesa
alle spalle o sospesa ad una cintura portata intorno
alla cintola. L'esercito di Guglielmo poteva anche
aver avuto alcuni arcieri a cavallo.
Molti
resoconti della battaglia di Hastings alludono anche
alla presenza di balestrieri normanni. Di fatto, alcuni
studiosi dubitano che la vera balestra fosse proprio
stata inventata nel 1066 e certamente nessuna balestra
appare nell'arazzo di Bayeux.
Questo
ci conduce alla dibattuta questione: l'esercito inglese
comprendeva o no arcieri? Generalmente si suppone
che gli anglo-sassoni usavano l'arco più per
cacciare che non come arma da guerra; questa credenza
sembra sia stata prodotta dalla mediocre prestazione
degli arcieri inglesi ad Hastings. Senza dubbio Aroldo
aveva alcuni arcieri nel suo esercito nel Sussex -
l'arazzo di Bayeux ritrae un giovane arciere sassone,
rimpicciolito dai giganteschi huscarles che lo circondano
- ma sembra siano stati in numero molto limitato e
non erano organizzati come un'arma separata, come
lo erano gli arcieri tra i normanni. D'altronde, le
testimonianze che abbiamo suggeriscono che l'esercito
inglese che aveva combattuto a Stamfordbridge era
ben fornito di arcieri. Perché questa differenza?
Può essere perché l'esercito a Stamfordbridge
comprendeva un numero più alto di soldati arruolati
provenienti dalle contee dell'Inghilterra centrale
dell'est nel corso della marcia di Aroldo verso nord.
Queste aree - parte dell'antica Danelow (zona dell'Inghilterra
sotto la giurisdizione danese nel IX e X secolo n.d.t.)
- erano popolate da persone che erano, se non di ceppo
vichingo loro stessi, vicini di gente i cui antenati
avevano fatto vela verso l'Inghilterra nelle loro
lunghe navi, generazioni prima. Vi era una forte tradizione
nordica relativa all'uso di arco e frecce in guerra
- la difesa ad anello di Hardraada a Stamfordgridge,
per esempio, era rinforzata da un cerchio interno
di arcieri norvegesi - e non dovrebbe essere stato
anormale per uomini che provenivano da una regione
con forti relazioni con i danesi, aver ereditato anche
quella tradizione. Quindi può ben essere che
un contingente di anglo-danesi, sembra dal Derbyshire
e dal Nottinghamshire, potrebbe aver contenuto una
più ampia proporzione di arcieri che non un
corpo di armati sassoni provenienti dal Sussex e dal
Kent.
Quel
che più conta è che gli arcieri erano
invariabilmente soldati di fanteria ed è dubbio
che qualcuno dei veterani di Stamfordbridge, che mancava
di pony ma che desiderava unirsi ad Aroldo per la
sua seconda offensive nel sud, possa aver raggiunto
Hastings in tempo per prendere parte alla battaglia.
Sia
gli inglesi che, soprattutto, i norvegesi, avevano
la tendenza a portare la chioma lunga - a volte era
intrecciata - e tenevano la barba ed i baffi. La nobiltà
normanna, dall'altra parte, era spesso completamente
sbarbata ed aveva i capelli tagliati corti sulla nuca.
Completamente sbarbato è, comunque, nel contesto
dell' XI secolo, un termine relativo. I rasoi primitivi
di quel tempo garantivano che anche coloro che non
volevano portare la barba erano di solito ben lontani
dall'essere ben rasati per la maggior parte del tempo!
Una descrizione quasi contemporanea riporta che anche
gli inglesi avevano 'le braccia cariche di braccialetti
d'oro' e 'la pelle abbellita con disegni tatuati'.
Erano, inoltre, 'soliti mangiare finché non
si erano rimpinzati e bere fino alla nausea. Queste
ultime caratteristiche essi conferirono ai loro conquistatori.....'.
III
Si
pensa che, a seguito della sconfitta nel Lincolnshire
e della successiva fuga in Scozia, Tostig Godwineson
trascorse molte settimane battendo l'Europa del nord
nella disperata ricerca di un alleato abbastanza potente
e compiacente per intraprendere l'invasione del regno
del fratello di Tostig. Finalmente trovò questo
partner in Aroldo Sigurdsson di Norvegia. Il gigante
norvegese sarebbe stato lo strumento tramite il quale
Tostig avrebbe riacquistato il suo regno e si sarebbe
preso la rivincita su Aroldo. Per Hardraada, un tentativo
per ottenere la corona inglese che avesse ottenuto
successo sarebbe stato la realizzazione del sogno
di tutta la sua vita. Anche Malcom di Scozia avrebbe
ben potuto essere della partita. Sebbene fosse troppo
astuto per muoversi apertamente contro l'Inghilterra
- provocando così la ritorsione nel caso che
l'offensiva di Hardraada fosse fallita - diede, clandestinamente,
abbastanza sostegno all'avventura per assicurarsi
che, in caso di successo, avrebbe potuto ragionevolmente
pretendere un qualche tipo di ricompensa in cambio.
Sebbene
sembra che Hardraada non avesse fatto nulla per perseguire
la sua dubbia rivendicazione del trono inglese prima
dell'apparizione dell'energico e persuasivo Tostig,
una volta che ebbe deciso su questa linea d'azione,
buttò tutta la sua energia nell'impresa e ben
presto recuperò il tempo perduto. In poche
settimane era pronto a muoversi. La stupefacente velocità
con la quale fu in grado di mobilitare la sua flotta
d'invasione perfettamente equipaggiata fu dovuta al
fatto che la maggior parte dei sudditi erano esperti
guerrieri e le sue navi erano permanentemente in stato
di allerta. Questa, in effetti, fu la più grande
e l'ultima spedizione di conquista norvegese. In verità
fu quasi una migrazione poiché vennero chiamati
a prenderne parte metà degli uomini norvegesi
abili.
Il grosso della flotta di Hardraada si radunò
nel corso del mese di agosto alle isole Sulen, all'imboccatura
del fiordo di Sognes, a nord di Bergen (Norvegia centrale
n.d.t.). Il lungo viaggio per l'Inghilterra sarebbe
stato effettuato a tappe. Approfittando dello stesso
vento da nord che stava tenendo bloccato in porto
Guglielmo di Normandia, la flotta norvegese lasciò
il punto di partenza e veleggiò verso Bergen.
Da qui passò alle Shetland e poi verso le Orcadi,
allora entrambe territorio norvegese. Ad ogni tappa
si aggiungevano ad ingrossare ancor più i ranghi
degli invasori altre navi ed altri guerrieri, compresi
capitani e squadre di combattenti provenienti dagli
insediamenti del nord in Islanda, nelle isole Faroe,
nella Scozia del nord, nelle isole scozzesi ed in
Irlanda.
Gli
autori delle saghe nordiche, che avevano indubitabilmente
il vantaggio della visione del contadino scozzese,
affermano che, nonostante questo grande spettacolo
di forza, la potente flotta lasciò la Norvegia
sotto l'ombra di cattivi auspici ed oscuri presagi
poiché gli uomini fecero sogni terribili che
predicevano la totale distruzione dell'armata vichinga
per mano degli inglesi.
In
qualche luogo lontano dalle coste scozzesi o del Northumbria,
le forze di Hardraada si incontrarono con le truppe
di Tostig, composte dai superstiti delle precedenti
scorrerie e uomini che aveva arruolato nelle Fiandre
ed in Scozia. Le flotte riunite possono aver totalizzato,
proprio al minimo, trecento lunghe navi e, secondo
una stima molto prudente, 10.000 combattenti.
Così,
all'inizio di settembre, sia dal nord che dal sud,
i nemici di Aroldo d'Inghilterra volteggiavano, pronti
a colpire. Il colpo proveniente dal nord, però,
sarebbe arrivato come una totale sorpresa.
Le
navi alleate scivolarono giù per la costa dello
Yorkshire, lanciando pattuglie da sbarco quando arrivarono
nel Cleveland, saccheggiando ed uccidendo a Scarborough
e nell'Holderness (Inghilterra centro-orientale n.d.t.).
Incontrarono in quei luoghi qualche resistenza frettolosamente
organizzata, ma i prodi cittadini di Scarborough e
l'esercito dell'East Riding, superati di numero nell'Holderness,
vennero annientati con poca fatica. Gli invasori quindi
si diressero verso l'Humber per colpire il centro
vitale dell'Inghilterra del nord, l'antica città
di York, seconda solo a Londra quanto a dimensione
ed importanza. La minuscola flotta del Northumbria
era ormai stata mobilitata e gettò l'ancora
a Tadcaster sul fiume Wharfe, senza dubbio sperando,
se se ne fosse presentata l'opportunità, di
bloccare la via di fuga dei norvegesi. Aroldo Sigurdsson
era un lupo di mare troppo vecchio e astuto per essere
così superato in abilità strategica;
semplicemente gettò l'ancora due miglia prima
della confluenza dell'Ouse col Wharfe, a Ricall. Quindi,
lasciando un forte contingente di uomini a guardia
delle navi, prontamente si avviò con i rimanenti
verso York, alcune decine di miglia a nord.
La
situazione, che rapidamente si era deteriorata, aveva
lasciato il conte di Morkere, giovane ed inesperto,
in un dilemma. Non aveva modo di sapere se Aroldo
sarebbe venuto o no in suo aiuto. Preoccupato del
fatto che il sovrano inglese fosse sotto minaccia
normanna, poteva ben aver pensato che una tale eventualità
fosse improbabile. Decise perciò di agire per
proprio conto e senza ulteriori indugi. Stava comunque
operando in circostanze difficili. Vi era, con tutta
probabilità, moltissima simpatia per i vichinghi
da parte dei suoi sudditi - la stessa York era stata
il centro di un regno norvegese in quei tempi - e
ciò potrebbe non aver aiutato la sua campagna
di reclutamento. Una situazione simile si applicava
a suo fratello Edwin il quale, d'altronde, aveva le
sue basi troppo lontano nel sud per poter offrire
un aiuto immediato. Alcuni storici asseriscono che
l'esercito che Morkere alla fine guidò per
fronteggiare Hardraada comprendeva uomini provenienti
dalle sei contee settentrionali, un forte fyrd del
Northumbria centrale ed occidentale ed un grosso contingente
del fyrd della Mercia del nord sotto il comando di
Edwin. Qualunque fosse la sua composizione esatta,
le testimonianze che abbiamo suggeriscono che gli
inglesi erano ampiamente superati nel numero, e alcuni
autori dubitano persino del fatto che Edwin ed i soldati
delle contee centrali d'Inghilterra fossero presenti.
La
zona intorno a York era in quei tempi molto piatta
e paludosa, anche nel corso di un'estate secca. Morkere,
con autentico stile tedesco, fermò il suo piccolo
esercito in un campo pesante ed aperto a Gate Fulford
(ora un sobborgo di York), bloccando subito la linea
di marcia degli invasori. Formò con gli uomini
numerosi profondi ranghi, con il lato destro appoggiato
all'argine orientale del fiume Ouse e quello sinistro
protetto dal fossato paludoso che correva lungo il
fianco di Ricall verso la strada per York.
La
battaglia che qui ebbe luogo il 20 settembre sembra
sia stato uno scontro violento e che durò per
la maggior parte della giornata. Sembra che Aroldo
Sigurdsson avesse piazzato gli uomini migliori nella
parte centrale e sinistra del suo schieramento e sul
terreno più compatto, mentre i guerrieri meno
esperti - forse le divisioni scozzesi e fiamminghe
di Tostig - tenevano la zona vicino al fossato. I
bellicosi Northumbriani che combattevano per le loro
famiglie e per le loro case, si dimostrarono un ostacolo
formidabile e davvero, sul lato sinistro inglese,
questi robusti settentrionali cominciavano ad avere
la prevalenza, respingendo gradualmente inesperte
truppe che avevano di fronte. Ma Hardraada sfruttando
pienamente il suo potenziale umano superiore, si spinse
implacabilmente avanti con il centro e la sinistra,
spingendo i nemici verso il fossato. I Northumbriani,
superati strategicamente e nell'equipaggiamento, iniziarono
a perdere terreno. I guerrieri di Tostig che si stavano
ritirando ripresero coraggio ed ora il fossato, che
prima era servito da protezione, divenne una trappola
dalla quale pochi inglesi riuscirono a scappare.
Alla
fine della battaglia, che sembra si sia allargata
almeno fino alle porte di York, l'esercito Northumbriano
aveva praticamente cessato di esistere ed il fossato
era ostruito dai corpi dei soldati, massacrati ed
annegati, che Aroldo Godwineson non poteva permettersi
di perdere.
Sebbene
oscurata dai due più famosi scontri che seguirono
nel 1066, la Battaglia di Fulford ebbe conseguenze
decisive sugli eventi successivi. Se Aroldo avesse
potuto far arrivare notizie ai conti del nord in tempo
per aspettare che si unissero a loro, il loro esercito
avrebbe potuto non essere decimato e le forze inglesi
congiunte avrebbero avuto un'eccellente occasione
per annientare Guglielmo non appena fosse apparso.
Così accadde che Edwin e Morkere non furono
in grado di rimpiazzare le perdite subite a Fulford
in tempo per poter avere un qualsiasi ruolo nella
campagna normanna nel sud. Dall'altro lato, le pesanti
perdite che l'esercito di Aroldo Sigurdsson aveva
sicuramente subito - controbilanciate in dimensione
da un certo numero di rinforzi inglesi - potevano
solo indebolire la sua prestazione contro Aroldo.
Sebbene
la vittoria di Fulford consegnasse York su un piatto
a Hardraada e Tostig, questi non fecero alcun passo
immediato per entrarvi e prenderne possesso. Anzi
Hardraada rimandò indietro i suoi uomini a
Ricall dove stavano le navi ed iniziò lunghe
trattative con i capi municipali di York riguardo
la resa formale della città e la consegna degli
ostaggi. In cambio del riconoscimento, da parte degli
anziani della città, del re norvegese come
loro nuovo capo, acconsentì a non saccheggiare
il luogo. Fu un compromesso a vantaggio, naturalmente,
del norvegese, dal momento che aveva bisogno di una
base per le operazioni future e probabilmente di un
rifugio per l'inverno. Hardraada sapeva anche che
Aroldo e Guglielmo avrebbero potuto sbarazzarsi di
lui prima che potesse sentirsi veramente sicuro; perciò
aveva bisogno di tutto l'aiuto e la cooperazione che
poteva ricevere dagli inglesi. Ci si accordò
che avrebbe avuto luogo un incontro a circa otto miglia
a nordest della città, nel luogo dove le strade
provenienti da tutte le regioni dello Yorkshire dell'est
convergevano al passaggio del fiume Derwent, luogo
conosciuto come Stamfordbridge, per la decisione finale
sui dettagli relativi al passaggio di mano della città
di York.
La
mattina di lunedì 23 settembre Hardraada -
lasciando indietro ancora una volta un terzo delle
sue truppe a Ricall - partì per Stamfordbridge
con uno stato d'animo in qualche modo simile a quello
che avrebbe avuto se fosse andato in vacanza. Il tempo
era bello e faceva molto caldo; la maggior parte dei
norvegesi, Hardraada compreso, sembrava avessero allegramente
dimenticato le loro pesanti armature. La cavalcata
presuntuosa e trionfante era però destinata
a terminare in uno scontro; all'appuntamento non trovarono
i pochi anziani northumbriani e gli ostaggi, fra i
thani che erano sopravvissuti allo scontro di Fulford,
ma un risoluto Aroldo d'Inghilterra alla testa di
un esercito che cercava vendetta.
*
* * * * * * * * * * * *
Quando
i messaggeri provenienti dal Northumbria portarono
ad Aroldo la notizia che "re Araldo di Norvegia
ed il conte Tostig erano comparsi nei pressi di York",
gli si presentò una scelta angosciosa. Avrebbe
dovuto continuare la vigilanza nel sud, ben sapendo
che il tempo stava rapidamente scorrendo a favore
di Guglielmo se il normanno stava per assalire il
paese quell'anno, ed occuparsi della minaccia del
nord solo quando l'Inghilterra meridionale fosse sicura;
oppure avrebbe dovuto muovere immediatamente verso
nord, eliminare Hardraada e, tornare indietro in tempo
per contrastare uno per volta, con buone speranze
di successo, i piani di Guglielmo? Aroldo non esitò;
avrebbe marciato verso nord. Si liberò della
malattia che lo aveva fino a poco tempo prima afflitto,
mobilitò i suoi huscarl e richiamò il
fyrd meridionale, da poco congedato.
La
marcia di Aroldo verso York viene classificata come
una delle grandi azioni di storia militare. In quattro
giorni il suo esercitò percorse 180 miglia.
Non è possibile dire esattamente quanto grande
fosse questa forza militare. La tradizione riferisce
che l'esercito si mise in marcia in sette grandi divisioni
ed era composto dall'intera forza militare del Wessex,
più gli arruolati delle contee provenienti
dalle provincie dell'est e dell'Inghilterra centrale,
chiamate in aiuto durante la marcia. A queste si aggiunsero
volontari provenienti dalle contee più lontane
dell'ovest come il Worcester e senza dubbio, i sopravvissuti
di Fulford che non avevano abbandonato il combattimento.
Sebbene l'affermazione che gli uomini fossero 20.000
è sicuramente esagerata, sicuramente quando
Aroldo raggiunse Tadcaster dieci miglia scarse da
York, domenica, 24 settembre, era al comando di una
forza militare considerevole anche se in qualche modo
male assortita e che era presumibilmente la più
grande mai mobilitata da un monarca anglosassone.
Dopo
aver fatto brevemente riposare gli uomini stanchi
ed i pony a Tadcaster, Aroldo, sapendo che i nemici
erano ancora beatamente ignari della sua presenza,
avanzò verso York. Non vi fu, naturalmente,
alcuna resistenza; i cittadini dimenticarono prudentemente
il recente giuramento ad Hardraada e precipitosamente
garantirono il loro appoggio ad Aroldo Godwineson
!
*
* * * * * * * * * * * * * *
Era
circa metà mattina quando i norvegesi raggiunsero
Stamfordbridge. Non vi era ancora alcun segno dei
rappresentanti northumbriani, così Hardraada
lasciò i suoi uomini a riposo ed i soldati,
rilassati, si sparpagliarono lungo il prato su entrambe
le rive del Derwent.
Improvvisamente
venne notata una nuvola di polvere sempre più
grande che si alzava sopra la cresta del rilievo un
miglio ad ovest. La nuvola di polvere diventò
più densa e si distese mano a mano che fila
dopo fila i sassoni corazzati apparivano alla vista
da dietro la collina.
I
raggi del sole di settembre colpivano "le armi
risplendenti degli inglesi che erano agli occhi"
degli stupiti norvegesi "come giaccio scintillante".
Gli alleati erano stati colti completamente impreparati
alla battaglia. Né Hardraada né Tostig
potevano aver avuto alcuna impressione che Aroldo
poteva proprio aver lasciato il sud; questo fatto
deve aver portato via molti minuti prima che la terribile
verità apparisse loro. Si tenne un precipitoso
consiglio di guerra. Tostig sostenne in modo manifesto
la necessità di ritirarsi il più velocemente
possibile verso le navi, dove gli invasori avrebbero
potuto indossare gli indumenti da battaglia e, irrobustiti
dalle truppe che già erano là, dare
battaglia in condizioni di maggiore equilibrio di
forze. Hardraada, comunque, non fece nulla di tutto
ciò. Per quanto lo riguardava non vi era alternativa
se non quella di accettare lo scontro e, inviando
messaggeri a cavallo per richiedere velocemente aiuto
a Eystein Orre che comandava gli uomini a Ricall,
ordinò agli avamposti di gettarsi a terra sulla
riva ovest del fiume e di tenerla il più a
lungo possibile, mentre il corpo principale delle
sue truppe occupava la posizione sul terreno in salita,
circa trecento iarde indietro.
Al
di là del Derwent, la retroguardia norvegese
armata a metà e condannata alla distruzione
vendette cara la vita il tempo necessario per consentire
ai loro compagni di raggiungere l'ordine di battaglia
di Hardraada. Questi norvegesi erano troppo pochi
e gli inglesi troppo numerosi perché la lotta
potesse durare a lungo. In quei giorni gli argini
del Derwent erano probabilmente molto più ripidi
di quanto non sono ai giorni nostri ed il fiume in
questo punto era largo circa sessanta piedi. Praticamente
l'unica via di fuga per qualsiasi norvegese sopravvissuto,
quindi, avrebbe potuto essere attraverso il ponte
di legno che, si pensa, si trovasse a circa 100 iarde
a valle dell'attuale. Secondo la tradizione inglese,
i difensori del ponte resistettero per qualche tempo,
finché alla fine un solo vichingo resisteva
da solo, con l'ascia che dispensava morte ad ogni
sassone che arrivava a portata d'ascia. Alla fine,
si disse, questo eroe venne eliminato quando uno degli
uomini di Aroldo raggiunse il ponte da sotto e lo
pugnalò dal di sotto. La storia divenne sempre
più abbellita col passare dei secoli; oggi
è possibile leggere di questo prode norvegese,
non toccato dalla pioggia di frecce a lui dirette,
che uccise almeno quaranta inglesi con una sola mano!
Gli
inglesi avendo preso saldamente il ponte, attraversarono
il Derwent e si disposero per la battaglia sull'altra
sponda. La nostra conoscenza su quanto accadde da
questo momento in poi deriva da una sola fonte, il
resoconto compilato due secoli dopo da uno scrittore
islandese, Snorri Sturluson. Costui è una fonte
controversa. Alcuni storici lo respingono in quanto
totalmente inattendibile, affermando che avesse, di
fatto, confuso questo scontro con la battaglia di
Hastings! Si deve dire che la versione di Snorri su
quanto accadde a Stamfordbridge non sembra particolarmente
simile al racconto oggi accettato del successivo decisivo
scontro tra Aroldo e Guglielmo. La controversia più
feroce circa Snorri, comunque, infuria intorno alla
sua descrizione del ruolo svolto dai cavalieri inglesi
nel corso di questa azione. Secondo Snorri, Aroldo
usò la cavalleria per assalire i muri di scudi
esattamente nello stesso modo con il quale i normanni
lo fecero nel Sussex. Mentre la maggior parte degli
storici concordano sul fatto che gli inglesi ed i
capi norvegesi meglio armati avessero dato battaglia
a cavallo, - questi ultimi su pony catturati - pochissimi
concorderebbero sul fatto che gli huscarl ed i thani
di Aroldo, o Hardraada ed i suoi comandanti, effettivamente
avessero combattuto a cavallo. Questa scuola di pensiero
respinge completamente la descrizione di una cavalleria
inglese armata di giavellotti fatta da Snorri. Gli
anglosassoni, si argomenta, combattevano tradizionalmente
a piedi; coloro che cavalcavano pony erano, di fatto,
fanteria a cavallo. Vi sono, in verità, testimonianze
a supporto di entrambe gli argomenti ma , tutto sommato,
sembra di gran lunga più probabile che Stamfordbridge
fu essenzialmente una faccenda che riguardò
unicamente la fanteria.
Snorri,
come molti altri scrittori medioevali, rende interessante
la narrazione con episodi che, sebbene possano ben
avere qualche fondamento storico, quasi certamente
non avvennero nel modo con il quale li descrive. Così,
egli vorrebbe farci credere che prima che la battaglia
vera e propria iniziasse, un gruppo di venti huscarl
pesantemente armati raggiunse la linea di battaglia
alleata. Il loro comandante trovò Tostig e
gli comunicò che Aroldo lo avrebbe perdonato
e gli avrebbe restituito la contea in cambio della
promessa di lealtà.
"Se
accetto, cosa verrà dato a Re Araldo Sigurdsson
per il suo disturbo?" si pensa che Tostig abbia
detto. "Sette piedi di terra inglese, o tanto
di più quanto egli può essere più
alto di un altro uomo?" fu la pronta risposta
dell'inviato. Tostig rifiutò l'offerta e solo
quando la pattuglia inglese ebbe raggiunto le linee
egli rivelò ad Hardraada che il portavoce non
era altri che non lo stesso Aroldo.
E'
un racconto pittoresco ed alquanto drammatico e, mentre
noi dovremmo ben considerarlo immaginario, è
possibile che derivi da un effettivo tentativo da
parte di Aroldo, prima che la carneficina avesse effettivamente
inizio, di isolare Tostig dall'alleato norvegese.
Se il re inglese tentò in qualche modo di rompere
l'associazione Hardraada-Tostig, senza dubbio fallì.
Non vi è testimonianza di alcuna defezione
su larga scala tra le fila norvegesi da parte dei
Fiamminghi, degli Scozzesi e degli Inglesi esiliati,
ed i comandanti alleati rimasero uniti fino alla morte.
La
calma relativa che aveva seguito la cattura del ponte
venne subito infranta dal suono delle trombe e dalle
selvagge grida di battaglia quando gli inglesi, in
risposta all'ordine di attacco di Aroldo, incominciarono
a muovere in avanti su per il pendio e verso i norvegesi
in attesa. Araldo Sigurdsson, si è detto, aveva
allineato le truppe in formazione da battaglia su
una linea "lunga ma non profonda". Quindi
aveva fatto curvare indietro entrambe le ali fino
a che si toccarono, formando un cerchio vuoto o forse
una formazione a triangolo. Venne ordinato agli uomini
di mettere avanti le lance, in modo da formare un'irta
barriera di acciaio all'interno della quale vennero
piazzati gli arcieri ed i pochi cavalli dei norvegesi
vennero impastoiati. Seguì il solito reciproco
lancio di proiettili. Quindi gli huscarl ed i thani,
appoggiati dalla fanteria del fyrd, si scontrarono
violentemente contro questo muro di uomini armati;
l'aria del pomeriggio settembrino risuonò del
terrificante urto e del clangore della primitiva battaglia.
Sebbene la lotta fosse particolarmente selvaggia e
prolungata, gli inglesi, forti della loro superiorità
numerica e del loro migliore equipaggiamento, ben
presto incominciarono ad irrompere nelle linee alleate
e subito all'inizio della battaglia Hardraada, torreggiante
sopra le truppe al servizio del sovrano piazzate nei
pressi di "Landravager", venne abbattuto
ed ucciso da una freccia inglese. Questo deve essere
stato un duro colpo per il morale degli alleati, sebbene
i norvegesi non si infransero. Incoraggiati dalla
grande bionda figura di Tostig, ora solo al comando,
combatterono ferocemente. Anche quando a giorno inoltrato
anche Tostig cadde - abbattuto, si dice, da un'ascia
inglese a due mani - i norvegesi ora senza comando,
con i muri di scudi che crollavano e con sempre maggiori
perdite, continuavano a resistere. Tenevano ancora
la posizione in piccoli gruppi isolati, quando il
contingente di Ricall sotto il comando di Eystein
Orre infine arrivò. Questi uomini avevano marciato
a tappe forzate con addosso il pesante equipaggiamento
militare e nonostante un feroce attacco iniziale contro
gli affaticati sassoni, erano troppo esausti e troppo
in ritardo e probabilmente troppo pochi per mutare
l'esito della battaglia a favore dei vichinghi. Ora
niente poteva arrestare gli uomini di Aroldo, e quando
lo stesso Eystein Orre morì, la resistenza
norvegese crollò definitivamente. Il Landravager
che aveva orgogliosamente sventolato sul campo di
battaglia per tutto il giorno, venne calpestato quando
i sopravvissuti dell'ultimo esercito vichingo che
mai avesse minacciato l'Inghilterra si spezzarono
e fuggirono nella sopraggiunta oscurità, inseguiti
dall'esercito vittorioso.
La
vittoria di Aroldo fu completa. La misura di questa
vittoria può essere giudicata dal fatto che
quando tutti i feriti ed i soldati sbandati che sopravvissero
alla battaglia ed all'inseguimento alla fine si riunirono,
riempirono solo 24 delle navi con le quali Hardraada
e Tostig avevano trasportato l'armata del nord, meno
di un mese prima. Il sovrano inglese poteva permettersi
di essere generoso. In cambio di un giuramento che
prometteva di mantenere la pace e l'amicizia con l'Inghilterra,
ad Olaf, il giovane figlio di Hardraada che era rimasto
con la flotta a Ricall, fu concesso di ritornare in
Norvegia con il corpo del padre. I norvegesi abbastanza
fortunati da sopravvivere ad entrambe le battaglie
ed all'attacco inglese alla base navale, che si era
concluso con l'incendio di numerose navi, andarono
con lui.
La
rischiosa impresa di Aroldo aveva avuto pieno successo;
aveva sbaragliato ed ucciso il temibile Hardraada,
aveva annientato tutto il suo esercito e catturato
la sua flotta. Nel fare ciò, comunque, immense
erano state le sue perdite. Queste erano inoltre ricadute
sulle sue migliori truppe e sarebbe stato necessario
del tempo per riparare il danno. Questo tempo non
gli venne concesso.
Benché
fosse urgente ritornare nel sud, Aroldo avrebbe dovuto
passare alcuni giorni nel nord, impegnato nelle trattative
con Olaf e nella risistemazione del Northumbria sotto
l'autorità di Morkere, mentre i suoi soldati
esausti si prendevano un ben meritato riposo. Un giorno,
intorno al 1° ottobre, la notizia che meno egli
desiderava ascoltare, arrivò; Guglielmo di
Normandia era sbarcato a Pevensey, nel Sussex. Alcuni
resoconti affermano che Aroldo era seduto ad un banchetto
per la vittoria a York quando gli venne data la notizia;
egli e quegli uomini che potevano mettersi in marcia,
avrebbero ben potuto, infatti, in quel momento, essere
già sulla strada per Londra. Per la maggior
parte di quegli uomini, quel viaggio li avrebbe condotti
alla fine nel luogo della loro morte, su un crinale
sopra il porto della città di Hastings, nel
Sussex. La battaglia verso la quale stavano cavalcando
non sarebbe stata simile a quella che avevano appena
combattuto, ma avrebbe segnato il destino dell'Inghilterra
anglosassone.
IV
Si
dice che il duca Guglielmo di Normandia stava per
uscire per la caccia nel suo parco a Quevilly vicino
a Rouen, quando arrivò un messaggero per informarlo
che Aroldo Godwineson era stato incoronato re d'Inghilterra.
Il re era, al principio, così fuori di sè
per la collera che i suoi accompagnatori avevano paura
di avvicinarsi. Gradualmente man mano che l'ira decresceva,
si sviluppò al suo posto una fredda, calcolata
decisione. Guglielmo si sarebbe lanciato nell'invasione
dell'Inghilterra e strappato la corona ad Aroldo con
la forza. Questa, naturalmente, è la versione
"ufficiale" la quale implica che Guglielmo,
come legittimo erede al trono inglese, naturalmente
si aspettava di essere invitato alla successione dopo
la morte di Edoardo. Infatti egli deve essere venuto
a conoscenza che avrebbe probabilmente dovuto combattere
per il privilegio di diventare il primo sovrano normanno
d'Inghilterra.
Guglielmo
era sia un buon diplomatico che un buon soldato; immediatamente
intraprese un'operazione di pubbliche relazioni abilmente
concepita, destinata a difendere la propria causa
mentre demoliva quella dell'inglese. Tenne una serie
di assemblee e conferenze in ogni parte del suo ducato
ed inviò emissari alle corti di Francia e delle
Fiandre e dal Papa a Roma, facendo pubblicità
all'imparzialità della sua causa. Guglielmo
sapeva che la Normandia da sola non aveva le risorse
per sfidare la forza dell'Inghilterra, ma il suo colpo
magistrale stava per ottenere il sostegno del Papa
Alessandro III. Da principio anche i suoi stessi baroni
avevano bisogno di essere convinti che il progetto
che stava proponendo offriva qualche possibilità
di successo. La loro volonterosa cooperazione era
essenziale, poiché anche i venti giorni di
servizio militare che davano a turno era tutto ciò
che Guglielmo poteva chiedere loro come diritto feudale
ed in nessun modo si estendeva oltre i confini di
Francia. Comunque, sfidando l'onore ed il coraggio
degli uomini, eccitando la loro bramosia con promesse
di bottino ed acquietando ogni tormento della coscienza
ricordando loro di sovente che l'invasione che si
prefiggeva aveva la benedizione di Roma, il duca normanno
non solo ottenne il sostegno interno, ma ben presto
attirò sotto il suo stendardo volontari e mercenari
da tutta l'Europa dell'ovest.
Il
successivo compito di Guglielmo era quello di costruire
una forza d'invasione. A differenza di Aroldo Hardraada
egli non possedeva già una flotta, così
avrebbe dovuto cominciare da zero. A quei signori
ed a quei baroni che erano d'accordo nel seguirlo,
venne richiesto di fornire uomini e navi come pure
i propri servigi; la dimensione di ogni contingente
dipendeva dal rango e dallo status dei suoi comandanti,
così come l'entità delle ricompense
da ripartire dopo la vittoria. Guglielmo costrinse
al servizio un'intero esercito di carpentieri e maestri
d'ascia in diversi porti lungo tutta la costa della
Normandia ed a partire da maggio la sua flotta cominciava
a prender forma quando ciascun vascello in fase di
completamento venne fatto salpare verso il punto di
riunione alla foce del fiume Dives, 14 miglia a nordest
di Caen ed a circa 100 miglia in direzione sud dal
Sussex.
Queste
navi - trasporti truppe, navi da battaglia e da trasporto
- erano di tipi diversi e di diverse misure; la maggior
parte sembra siano state imbarcazioni col ponte scoperto,
con i fianchi larghi, lunghe circa cinquanta piedi,
ciascuna delle quali aveva un'ampia vela ed un piccolo
remo per timone. Erano stati costruiti per attraversare
il canale una sola volta e dovevano avere vento favorevole
per prendere l'abbrivio. Questa limitazione dovette
essere un fattore estremamente importante nella regolazione
della corsa di Guglielmo ed Araldo Sigurdsson per
il trono d'Inghilterra.
Entro
la seconda settimana di agosto Guglielmo era pronto
per salpare. In meno di tre mesi aveva arruolato,
riunito ed equipaggiato una forza di invasione anfibia
composta da circa 12000 uomini e 700 navi. Non aveva
solo questo ma anche, in aggiunta, era riuscito a
trovare il modo di trasportare forse 4000 cavalli
da battaglia; nessun altro generale occidentale aveva
mai tentato prima una cosa del genere.
Fu
un'impresa notevole, che rivelava chiaramente la tremenda
energia del duca e la sua abilità organizzativa.
Guglielmo, comunque, non poteva organizzare il tempo;
per tre settimane o più venti contrari impedirono
alla sua flotta di prendere il mare. Quando, all'inizio
di settembre, il vento iniziò a soffiare da
sud e la superba e gaiamente vestita armata fu finalmente
in grado di spingersi nel Canale, una violenta tempesta
si alzò improvvisamente e le navi normanne
dovettero battere in rapida ritirata verso il porto
di St. Valery, 20 miglia ad ovest di Dieppe. (Alcuni
resoconti affermano che Guglielmo aveva sempre ritenuto
che St. Valery doveva essere il punto di partenza
finale per l'invasione e quando la tempesta colpì
egli stava andando là). In entrambe i casi
fu un inizio infausto per una campagna di guerra:
le navi e le provviste erano state danneggiate e perse,
uomini e cavalli erano annegati e, con la ripresa
del vento da nord, Guglielmo sempre più arrabbiato
e frustrato fu costretto a trascorrere un altro periodo
di forzata inattività. Infatti, malgrado i
ritardi e questo temporaneo impedimento, le condizioni
metereologiche, che sarebbero state di suprema importanza
nel determinare le conseguenze degli eventi, ci mostrano
ora quanto abbiano lavorato uniformemente e stranamente
per Guglielmo e contro Aroldo.
Poiché,
se in verità il normanno era stato in grado
di partire come in origine aveva pianificato, avrebbe
dovuto combattere contro l'intera flotta inglese e
con l'esercito mobilitati; le sue probabilità
di successo sarebbero state scarse. Per come stavano
le cose, l'audacia vichinga che era alla base di tutti
gli accurati preparativi di Guglielmo, sarebbe stata
ricompensata in pieno. Quando il cambiamento della
direzione del vento il 27 settembre rese alla fine
possibile un nuovo tentativo di attraversamento della
Manica, in mare non vi erano navi inglesi, ed Aroldo
con i suoi uomini erano lontani, a nord. Lo sbarco
normanno nella baia di Pevensey, la mattina del 28
settembre, non incontrò alcuna opposizione.
Quando
Guglielmo imbarcò le sue impazienti truppe
per quel decisivo viaggio notturno, stava navigando
verso l'ignoto nel vero senso della parola. Avrebbe
dovuto aver saputo che Aroldo aveva dovuto congedare
il fyrd, era stato messo al corrente dell'invasione
dello Yorkshire da parte di Hardraada e, sicuramente,
della sua vittoria a Fulford. Ma non avrebbe fatto
in tempo a venir a sapere della battaglia di Stamfordbridge,
combattuta solo due giorni prima, e così non
aveva modo di conoscere se il prossimo confronto sarebbe
stato con il re o con il pretendente norvegese.
Pevensey
era stata evidentemente scelta con cura da Guglielmo
poiché era il luogo della costa del Sussex
più idoneo ad accogliere lo sbarco del suo
esercito. Qui la linea costiera è drammaticamente
cambiata dal 1066; in quei giorni la baia di Pevensey
era un'ampia e riparata laguna che permetteva l'accesso
ad una penisola isolata, quasi attorniata da un fossato
ed il cui unico legame con il retroterra a nord era
una stretta sella di terreno larga meno di un miglio.
Qualsiasi esercito che si fosse avvicinato avrebbe
dovuto avanzare lungo questo contrafforte montano.
Guglielmo
si trattenne a lungo a Pevensey per costruire un castello
di legno prima di muovere le truppe e le navi verso
est, ad Hastings, dove venne eretta un'altra palizzata
che serviva come posto d'osservazione e come ultima
trincea-rifugio se tutto fosse andato male.
Gli
invasori erano arrivati nel Sussex da circa una settimana
quando Guglielmo ricevette la notizia della vittoria
di Aroldo su Hardraada. Ora, finalmente, sapeva quale
avversario doveva vincere. La questione essenziale
era ora che effetti avrebbe avuto la vittoria di Stamfordbridge.
Aroldo si sarebbe precipitato a sud, come sperava
il duca normanno, e dato battaglia sul terreno scelto
da Guglielmo, o si sarebbe trattenuto, bloccando i
trasgressori impertinenti dentro la stretta area nella
quale erano sbarcati, e li avrebbe o presi per fame
o aspettato la primavera per attaccarli con forze
schiaccianti?
I
Normanni, come se volessere incoraggiare Aroldo ad
adottare la prima delle due politiche, appena arrivati,
dettero inizio ad un dominio di terrore. Gli insediamenti
attorno ad Hastings vennero sistematicamente saccheggiati
e quindi distrutti; gli abitanti sopravvissuti vennero
scacciati per ogni dove a spargere la notizia della
devastazione.
********
Aroldo
Godwineson - con un'altra epica marcia forzata - aveva
raggiunto Londra il 5 ottobre con quegli huscarl e
quei thani a cavallo adatti al compito. Sembra verosimile
che mentre il re ed il suo corpo di truppe scelte
avevano raggiunto il sud, altre truppe stavano raggiungendo
Londra con passo meno veloce, diffondendo notizie
sulla grande vittoria di Aroldo e reclutando uomini
per la prova d'armi che avrebbe presto avuto luogo.
Gli altri veterani di Stamfordbridge con le ossa stanche,
i soldati di fanteria del fyrd, avevano preso la via
del sud come meglio avevano potuto.
Per
il 12 ottobre, la maggior parte dell'esercito di Aroldo
era concentrato nella capitale. Era una forza improvvisata.
La velocità degli avvenimenti, le recenti perdite
in battaglia, le comunicazioni insufficienti, le strade
primitive e in alcune regioni la semplice indifferenza,
tutto ciò fece in modo che la formazione di
un esercito pienamente disciplinato e rapprentativo
venisse ostacolata. La più grande preoccupazione
di Aroldo non era tanto quella nei riguardi della
quantità di truppe che poteva radunare nel
poco tempo disponibile, ma la loro qualità.
Di fatti dei due eserciti che si fronteggiarono ad
Hastings, quello di Aroldo probabilmente era il più
numeroso; ma mentre l'armata alleata in campo era
composta da soldati ben equipaggiati e disciplinati
che erano stati completamente addestrati da Guglielmo
durante mesi di preparazione in Normandia, la maggior
parte della forza anglosassone era composta da abitanti
delle campagne armati che erano stati messi in campo
per questa emergenza.
Aroldo
trascorse circa cinque giorni a Londra per preparare
l'offensiva ormai prossima. Sono state fatte molte
congetture su quale fosse esattamente il suo piano.
Molti scrittori affermano che aveva l'intenzione di
sorprendere Guglielmo con la rapidità della
sua avanzata, come fece con Hardraada a Stamfordbridge.
Sicuramente la sua strategia si sarebbe basata su
una completa conoscenza della regione di Hastings;
era il suo territorio natio. Conosceva il crinale
che proteggeva l'unico accesso alla penisola, e può
essere infatti che egli decise che sarebbe stato un
compito semplice presidiare questo stretto fronte
anche con le inadeguate risorse a sua immediata disposizione.
In altre parole, avrebbe costretto i normanni a restare
nella loro base finché, manovrando con la flotta
alle spalle, avrebbe potuto attaccare frontalmente
Guglielmo con forze schiaccianti. Se questo era il
piano, Aroldo fece un grave e fatale errore di calcolo.
Forse a causa della tensione dovuta ad un breve ma
impegnativo ruolo di sovrano, gli sforzi delle poche
precedenti settimane incominciavano ad intaccare la
sua capacità di giudizio ed anche il dinamismo
che aveva nel passato caratterizzato ogni sua azione,
non erano così chiari nel corso delle ultime
tappe della sua campagna. Sebbene Aroldo mostrasse
tutte le passate abilità nello schieramento
delle truppe, e sebbene la sua audacia nell'azione
rimanesse indiscussa, la sua comprensione degli eventi
non era forse così acuta come quella del più
giovane avversario, il quale si stava rivelando stratega
completo e più scaltro. Sembra che Aroldo sottostimasse
gravemente la forza del nemico e la determinazione
dei suoi comandanti. Avrebbe respinto relazioni che
parlavano di un gran numero di uomini a cavallo tra
l'armata normanna, ritenendole una madornale esagerazione.
Se così fu, era in arrivo una spiacevole sorpresa.
Giovedì
12 ottobre, Aroldo lasciò Londra con circa
5.000 uomini. Di questi, i suoi superbi huscarl non
potevano essere più di 1.500 circa. Seguendo
un'usanza da tempo rispettata, aveva scelto un albero
isolato come punto di incontro predefinito. Vennero
inviati messaggi affinché tutti i ritardatari
raggiungessero "il luogo del vecchio melo",
abitualmente identificato come la collina di Calbeck,
9 miglia a nord di Hastings. Altri uomini si sarebbero
aggregati durante il percorso e per tempo gli inglesi
uscirono dall'enorme foresta chiamata Andredsweald
che ricopriva circa 400 miglia quadrate del Sussex
dell'est, verso gli ondulati accessi alla costa, nei
pressi di Sedlescombe; il loro numero doveva essersi
considerevolmente ingrossato. Aroldo e le sue truppe
a cavallo avevano sicuramente raggiunto il vecchio
melo nella giornata di giovedì, e presumibilmente
gli ultimi arrivi ed ulteriori rinforzi sarebbero
arrivati nel corso della notte.
Il
giorno successivo, (il superstizioso potrebbe notare
la data: venerdì 13!) Aroldo iniziò
ad inviare l'esercito sempre più numeroso verso
l'importantissimo crinale un miglio distante. Avrebbe
sicuramente usato questi uomini come forza per chiudere
l'unico passaggio attraverso il quale gli invasori
avrebbero potuto fuggire e per dargli il tempo per
costruire la sua capacità di resistenza e probabilmente
alzare fortificazioni lungo il fronte nemico. Sembra
improbabile che egli intendesse lanciare i suoi stanchi
soldati in un attacco a tutta velocità verso
i normanni, i quali erano in ogni modo in vista. Le
truppe di Guglielmo vennero disseminate intorno alla
penisola per molte miglia verso sud.
La
strategia dei comandanti inglesi sembra si sia basata
sulla supposizione che Guglielmo, colto di sorpresa
e paralizzato dalla velocità del suo avversario,
non avrebbe fatto nulla. Senza dubbio il duca normanno
ricevette un colpo quando i suoi informatori gli segnalarono
l'improvviso apparire sul crinale delle truppe sassoni;
sarebbe però stato lontano dal suo carattere
sottomettersi docilmente pur essendo circondato, mentre
i nemici crescevano di continuo. Ritrovando velocemente
l'energia, si accorse subito che la sua unica possibilità
era attaccare Aroldo appena possibile, prima che gli
inglesi potessero instaurarsi in posizione dominante
ed in sovrannumero. Egli aveva alla fine sperato che
Aroldo l'avesse raggiunto e che l'esito si sarebbe
velocemente deciso, piuttosto che fronteggiare i pericoli
derivanti dal lasciare la sicurezza della testa di
sbarco, e ciò a causa della diminuzione dei
rifornimenti con un re ostile ed un esercito ancora
in libertà.
Guglielmo
decise, quindi, di attaccare gli inglesi il giorno
successivo. Sarebbe stato il turno di Aroldo ad essere
sorpreso, e, forse, un poco spaventato dalla velocità
della reazione dei nemici, poiché tutti i resoconti
concordano che l'assalto normanno fosse inaspettato
e lanciato prima che Aroldo avesse potuto riunire
tutte le truppe.
L'aurora
irruppe sul mattino di sabato, 14 ottobre 1066, intorno
alle 5.30 ed il sole sorse alle 6.20. I normanni ed
i loro alleati si alzarono presto. Erano in marcia
per le 6, e meno di tre ore dopo, Guglielmo che aveva
innalzato il suo stendardo sulla collina di Telham,
si dirigeva alle posizioni di battaglia nei prati
al di sotto delle posizioni inglesi.
Questo
esercito, che contava circa 7.500 uomini - esclusi
i non combattenti e gli uomini della retroguardia
- era distribuito in tre divisioni. La più
numerosa, di circa la stessa dimensione delle altre
due messe insieme, era la divisione centrale normanna,
nominalmente sotto il comando dello stesso Guglielmo.
Il fianco destro, comandato da Roger de Montgomerie,
comprendeva truppe francesi, fiamminghe e mercenari
stranieri; sulla sinistra, vicino al campo di gioco
dell'attuale Scuola di Battle Abbey, si trovavano
i bretoni e gli uomini dell' Anjou e del Maine, sotto
il comando di Alan Fergent, conte di Bretagna. Ciascuna
divisione era, in realtà, un sotto esercito
composto di arcieri, soldati di fanteria e cavalleria.
La posizione d'onore andava agli armati a cavallo,
l'equivalente degli huscarl inglesi. Ogni cavaliere
presente era passato attraverso un tirocinio, di solito
prestava servizio all'interno di un grande gruppo,
imparando l'arte di combattere a cavallo ed aveva
qualche esperienza di disciplina militare. Il fatto
che in molti dei contengenti militari comandati dai
"compagni" di Guglielmo, i singoli cavalieri
dovevano assersi conosciuti l'un l'altro in modo approfondito,
significava che quelle formazioni possedevano una
coesione interna che ai dilettanti frettolosamente
radunati da Aroldo gravemente mancava.
********
Sull'altro
lato della piccola valle, anche l'esercito inglese
si stava preparando per la battaglia. I Sassoni, stanchi
morti dopo la lunga marcia, si erano alzati da poco.
La posizione scelta da Aroldo, comunque, era forte.
Il crinale senza nome sul quale si erano radunati
era largo circa mezzo miglio e formava la cresta meridionale
più allargata del contrafforte che correva
in direzione nord verso la collina di Calbeck. Il
crinale era uno spartiacque; l'area circostante -
il terreno attraverso il quale i normanni avrebbero
dovuto avanzare - era irregolare, rotto da torrenti
e in gran parte non coltivato. Entrambe i fianchi
erano protetti da acquitrini.
Dovevano
esserci ora qualcosa come 8.000 inglesi ammassati
sotto gli stendardi da battaglia di Aroldo. I ritardatari,
evidentemente, continuarono ad arrivare per tutta
la giornata e la ragione che venne attribuita a qualche
defezione fu che vi erano talmente tanti uomini che
si accalcavano sul crinale che, per alcuni di questi,
non vi era abbastanza spazio per poter usare le armi
!
V
Sebbene
sembra che il muro di scudi inglesi ad Hastings fosse
una formazione più compatta del solito, possiamo
presumere che gli huscarl ed i thani, che probabilmente
formavano i ranghi avanzati, avevano fatto in modo
da avere abbastanza spazio per far ruotare le spade
e le asce. Paragonati ai loro avversari, gli inglesi
erano davvero un ammasso eterogeneo. Meno di un terzo
indossava elmi ed armature; la maggior parte indossava
gli abiti di tutti i giorni; molti portavano scudi
improvvisati, costruiti con tavole di legno, e nelle
loro fila includevano anche piccoli contingenti guidati
da ecclesiastici combattenti come Aelfwig, abate di
Winchester. (Alla fine della giornata questo prode
uomo di chiesa, insieme a dodici seguaci, sarebbe
stato atterrato a morte in mezzo alla zona a forma
di cuneo ed tra le macerie della battaglia.).
Aroldo
aveva piazzato la sua postazione di comando sul punto
più alto del crinale, dove sarebbe stato posto
l'Altare Maggiore della Battle Abbey; da qui gli ordini
di tenersi saldi venivano trasmessi alle truppe. Ormai
impegnato nella battaglia, il sovrano inglese senza
dubbio sperò che una volta che i normanni si
fossero sfiniti in faticosi e formali assalti, sarebbe
stato in grado di contrattaccare e distruggerli completamente.
Un tale piano, comunque, richiedeva una buona quantità
di autocontrollo e disciplina da parte dei difensori;
una merce presente in quantità insufficiente
tra l'impaziente folla che componeva il fyrd; gli
uomini battevano i piedi, imprecavano e scherzavano
aspettando l'attacco normanno.
La
tensione inevitabile che precede ogni battaglia venne
immediatamente liberata quando lo squillo acuto delle
trombe segnalò l'inizio delle ostilità.
La prima azione giunse dagli arcieri alleati. Quando
avanzarono camminando a fatica attraverso la vallata
fangosa, gli uomini delle linee opposte si strinsero
per proteggersi dalla tempesta che stava per scoppiare.
A circa 100 iarde dalle posizioni sassoni, gli arcieri
si fermarono ed iniziarono a lanciare scariche di
frecce fischianti verso le linee inglesi.
Qui
e là una freccia colpiva il bersaglio, ma la
maggior parte fecero fracasso contro la barriera degli
scudi come una grandinata, oppure sorvolarono in modo
inoffensivo le teste degli inglesi e caddero oltre,
nelle gole e nei burroni. Pochi arcieri inglesi erano
riusciti a raggiungere l'adunata di Aroldo in tempo,
così, praticamente, vi era una circolazione
di frecce a senso unico. In breve tempo i tiri scemarono,
quando le faretre si svuotarono e uno per uno gli
arcieri si ritirarono per far posto agli armigeri.
Era
ora il turno dei soldati di Guglielmo di sopportare
una grandine di proiettili. Quando la fanteria alleata
lentamente avanzò su per la collina ed arrivò
a poche iarde dalla falange di scudi, fu salutata
da una pioggia apparentemente interminabile di giavellotti,
asce da lancio e pietre fissate su pezzi di legno.
Coloro che fuggivano perchè trafitti o perché
avevano la testa rotta e le ossa fracassate da questo
snervante tiro di sbarramento, erano poi esposti ai
colpi mortali delle lame, delle alabarde e delle asce
inglesi quando i due eserciti si avvicinarono.
Sembra
certo che in questo scontro iniziale, i thani, gli
huscarl e gli uomini del fyrd ebbero la meglio sugli
avversari. Per lo meno un cronista normanno testimonia
la grande possanza fisica dei guerrieri inglesi -
in modo particolare degli huscarl - che possedevano,
in aggiunta, il vantaggio della pendenza. Le asce
impugnate a due mani spaccavano scudi ed usberghi
con facilità allarmante e presto la velocità
del massacro lungo il crinale rallentò quando
i soldati di fanteria normanni colpiti cessarono di
combattere.
Il
fondo della vallata tremò al suono degli zoccoli
e lo scenario autunnale venne ravvivato dalle bandiere
da segnalazione vivacemente colorate che ondeggiavano
sopra una foresta di elmi luccicanti quando la cavalleria
del duca Guglielmo andò all'attacco. Questi
cavalieri non cercarono l'assalto in massa e frontale
contro gli inglesi strettamente raggruppati, poiché
i loro cavalli si sarebbero in ogni caso spaventati
di fronte ad un'ostacolo così terrificante.
Invece galopparono fino ad arrivare a poche iarde
del muro di scudi in piccoli gruppi, lanciarono i
giavellotti, quindi cercarono di sfruttare ogni breccia
provocata dalle perdite derivanti facendo ruotare
le mazze e dando stoccare con la spada. Gli inglesi
diedero loro una calda accoglienza; asce da lancio,
mazze e lance, abbatterono sia uomini che cavalli
e nella lotta corpo a corpo le asce a due mani si
dimostrarono efficaci come nella precedente mischia.
Insulti, imprecazioni e grida di battaglia si mescolarono
al clangore delle armi ed alle urla degli animali
e dei soldati feriti. "Fuori! fuori!", urlavano
gli inglesi, "Dex Aidel!" (Dio ci aiuti!),
gridavano i normanni in risposta. Nessuna fazione
era in grado di capire le parole dell'altra, ed agli
invasori che parlavano francese, l'inglese sembrava
l'abbaiare dei cani! Allora, improvvisamente, durante
questa carneficina, il morale della divisione bretone,
alla sinistra degli alleati, si lasciò spezzare.
Sembra che questi uomini fossero i meno esperti tra
le truppe di Guglielmo. Erano stati reclutati soprattutto
nelle aree rurali più arretrate (alcuni precedentemente
erano banditi) e pochi avevano già avuto esperienze
di battaglia. Messi a disagio dalla furiosa e forse
inaspettata resistenza incontrata, queste truppe,
uomini a cavallo e soldati di fanteria, iniziarono
una ritirata disordinata giù per il pendio
per potersi riunire di nuovo. La parte rimanente dell'esercito
di Guglielmo osservò con inquietudine questo
movimento all'indietro; la divisione normanna, spaventata
dal fatto di aver esposto il fianco destro, iniziò
anch'essa a ritirarsi. Ormai i semi della paura avevano
iniziato a spargersi quando si aggirò la voce
che Guglielmo fosse stato ucciso e la ritirata minacciò
di trasformarsi in rotta.
Guglielmo,
in quale nei fatti non aveva ancora preso parte alla
battaglia, si rese immediatamente conto del pericolo
e si piazzò sulla traiettoria dei soldati atterriti.
Togliendosi l'elmo dalla faccia in modo tale che potessero
vederlo vivo, non solo riuscì a fermare la
loro ritirata ed a restituire loro la fiducia in se
stessi, ma ardentemente colse al volo l'opportunità
d'oro che questo imminente disastro gli aveva offerto.
La
vista dei bretoni in completa ritirata aveva messo
sin troppo alla prova i sovraeccitati soldati contadini
lungo il fianco destro del muro di scudi. Facendosi
largo a spallate oltre il bordo esterno formato dai
thani e dagli huscarl, erano partiti all'inseguimento.
In mezzo agli acquitrini ed al pantano ai piedi della
collina, erano riusciti a raggiungere alcuni degli
alleati occidentali di Guglielmo che si muovevano
faticosamente nel fango, disarcionarono gli sfortunati
nemici e li massacrarono con entusiasmo prima di proseguire
la corsa selvaggia in profondità nelle linee
normanne. Guglielmo a questo punto guidò i
suoi cavalieri contro questi audaci campagnoli i quali,
mancando di armature e sorpresi su un terreno aperto
e piatto, vennero prestoa loro volta massacrati. Alcuni
tentarono di opporre resistenza su una piccola collinetta,
ma non furono in grado di resistere a lungo e pochi
o nessuno, riuscirono a riguadagnare le linee inglesi.
Aroldo
deve aver osservato questo massacro con orrore e collera,
ma non vi era nulla che potesse fare. L'episodio confermava
la correttezza del suo ordine di star fermi. L'unica
speranza per le truppe inglesi era quella di tenere
la posizione finché l'esercito di Guglielmo
non fosse più in grado di scagliare un attacco.
Questa,
per lo meno, è l'interpretazione tradizionale
di questa fase della battaglia. Alcuni autori suggeriscono
che la carica della milizia poteva essera stata, nei
fatti, un contrattacco condotto, forse, dai fratelli
di Aroldo, Gyrth e Leofwine che fallirono il colpo,
mentre altri criticano il capo inglese per non aver
mosso all'offensiva l'intera sua forza quando gli
alleati mostrarono per la prima volta segni di disgregazione.
La verità è che questi eventi ebbero
luogo troppo tempo fa ed i resoconti di coloro che
sono sopravvissuti sono troppo unilaterali, troppo
pieni di esagerazioni e troppo distorti dal mito affinché
chiunque oggi possa essere in grado di fare altro
che non elaborare congetture intorno a gran parte
di quanto accadde in quel giorno sanguinoso.
Gli
sforzi della mattinata avevano lasciato entrambe le
parti malconce e bisognose di riposo; vi fu quindi
una pausa mentre Guglielmo ricompattò di nuovo
le sue bistrattate divisioni ed Aroldo tentò
di riparare alcuni dei danni causati dalla perdita
di così tanti soldati del fyrd. Le provviste
e l'acqua vennero ben presto divorate, i feriti soccorsi,
i morti sgombrati per il prossimo scontro.
Attorno
a mezzogiorno, gli arcieri normanni, dopo aver riempito
le loro faretre, scagliarono di nuovo una grandinata
di frecce contro il muro di scudi, come preludio ad
un altro assalto della fanteria. Dopo aver fatto arretrare
gli armigeri, i cavalieri alleati ripeterono le loro
assalti contro i ranghi inglesi e scaricarono le lance
prima di attaccare i punti deboli della linea difensiva.
Evidentemente Guglielmo continuò questo tipo
di attacco nel corso di tutto il pomeriggio. Questi
attacchi alternati di arcieri, soldati di fanteria
e cavalleria non solo gli permettevano la mobilità
negata al muro di scudi di Aroldo, il quale poteva
solo star fermo e "prenderle", ma ciò
significava anche che le sue truppe potevano per lo
meno fare qualche pausa tra un assalto e l'altro.
Ma
mentre vi era poca o nessuna diminuzione di pressione
per i ranghi frontali dell'esercito di Aroldo, la
tenace linea inglese continuava a tener duro. I combattimenti
lungo il crinale divennero sempre più accaniti
e sconnessi. Si disse che a Guglielmo, che ora guidava
personalmente i suoi cavalieri, vennero uccisi ben
tre cavalli. Due volte, ci raccontano le cronache
normanne, la sua cavalleria inscenò finte ritirate
per provocare all'inseguimento un numero maggiore
delle tormentate truppe di Aroldo e per poterle massacrare
in campo aperto. Ancora una volta, forse, queste erano
sortite messe in scena per sfruttare qualche successo
parziale o anche, per recuperare lance ed asce, ma
che si spinsero troppo lontano. Ad un certo punto
nel corso di questa logorante battaglia, Gyrth e Leonwine
vennero uccisi, denotando che per il momento gli alleati
stavano probabilmente per iniziare ad effettuare serie
incursioni nelle affaticate linee sassoni. Comunque,
tra i ranghi degli huscarl e degli uomini della milizia
vi era un evidente indietreggiare, la loro posizione
e gli accessi a questi erano cosparsi di inglesi morti,
come pure di corpi di alleati che formavano uno spesso
strato sul terreno inzuppato di sangue; ai cavalieri
esausti e stravolti ed agli armigeri la vittoria deve
esser sembrata lontana come non mai. Il dragone d'oro
del Wessex ancora si increspava con aria di sfida
sopra le teste dei difensori.
Era
ora pomeriggio inoltrato; Guglielmo disperava di assicurarsi
la vittoria prima che le tenebre giungessero in soccorso
dei sui tenaci nemici. Decise quindi di modificare
la sua tattica. Ordinò agli arcieri di scagliare
le frecce restanti alte nel cielo, cosicchè
cadessero a pioggia sopra i soldati meno armati nelle
retrogradie inglesi. (Questa scelta può essergli
venuta in mente poichè dopo sei o sette ore
di lotta le formazioni si erano completamente confuse
e gli assalti erano divenuti sempre più difficili
da coordinare. Il tiro delle frecce ad angolo basso,
dirette verso il selvaggio scontro corpo a corpo che
avveniva sul crinale avrebbe provocato molte perdite,
sia sassoni che normanne).
Lo
stratagemma funzionò. L'improvvisa ed inaspettata
pioggia di frecce verticale provocò gravi perdite
tra i ranghi posti dietro il muro di scudi, e ciò,
unito alla continua pressione sul fronte, costrinse
alla fine la linea inglese a cedere. La ben nota storia
che vede Aroldo colpito nell'occhio da una di queste
frecce probabilmente discende da un'errato riferimento
ad una sezione dell'arazzo di Bayeux dovuto ad un
autore circa trent'anni dopo. E', forse, più
probabile che il sovrano inglese venne abbattuto dai
cavalieri normanni. Un racconto narra di un gruppo
di venti cavalieri che, al culmine della battaglia,
tentarono di farsi strada con la forza tra le linee
inglesi verso dove Aroldo e le sue guardie del corpo
stazionavano a difesa degli stendardi. Solo due normanni
- Hugh de Montford e Walter Gilford - e due francesi
- Eustace de Boulogne e Ivo de Pontieu - riuscirono
a raggiungere Aroldo e manovrarono con lo scopo di
ucciderlo. Ivo de Pontieu, si disse, andò a
colpire ripetutamente il corpo di Aroldo dopo la sua
morte, e per quest'azione spregevole venne espulso
dall'esercito normanno.
In
qualsiasi modo abbia incontrato la sua fine, la morte
di Aroldo portò alla vittoria di Guglielmo.
Qui e là piccoli gruppi di sassoni combatterono
fino alla morte -gli huscarl sembra siano morti pressochè
tutti; la maggior parte degli inglesi sopravvissuti
fuggirono dal crinale verso la salvezza nella foresta
di Andredsweald. Il campo di battaglia veniva avvolto
dal buio quando i normanni sopraffecero le ultime
sacche di resistenza, e venne organizzato da Eustace
de Boulogne un inseguimento del nemico battuto che
terminò rapidamente quando un gruppo di cavalieri
diretti verso la foresta di Andredsweald cadde a capofitto
dentro una selvaggia e profonda gola. Le perdite normanne,
accresciute a causa delle pietre e delle lance scagliate
dagli inglesi che si erano provvisoriamente radunati
sull'altro lato del crinale, furono così grandi
che il luogo divenne noto come il "Malfosse"
o "Fossato della disgrazia".
Dopo
la battaglia, Guglielmo si inginocchiò a ringraziare
per la vittoria duramente conquistata; quindi ordinò
che la sua tenda fosse innalzata sul pendio dove i
morti erano più numerosi, vicino al luogo dove
erano piantati gli stendardi di Aroldo. Nessuno degli
esausti vincitori che passarono la notte su questo
terrificante crinale - da quel momento conosciuto
come la collina di Senlac - poteva essersi reso conto
che avevano praticamente conquistato l'Inghilterra
con un sol colpo. Gli inglesi sarebbero stati incapaci
di trovare un capo per rimpiazzare l'uomo il cui corpo
sfigurato dalla battaglia giaceva ora tra quelli dei
suoi prodi huscarl; il giorno di Natale del 1066,
Guglielmo di Normandia ottenne la corona che aveva
così a lungo agognato.